Aemilia, la moglie del pentito: "Ho sbagliato"

Maria Curcio riconosce le accuse e scrive ai giudici: "Apprezzate la mia volontà di cambiamento. Ho spinto mio marito a collaborare"

Tribunale (foto d'archivio)

Tribunale (foto d'archivio)

Reggio Emilia, 9 luglio 2020 - «Da molti anni ho rescisso qualsiasi legame con la località di origine e con l’ambiente in cui vivevo (a Montecchio, ndr). Ho abbracciato con convinzione la scelta collaborativa di mio marito: anzi, proprio io stessa ho spinto affinché intraprendesse questa strada". Maria Curcio, 47 anni, rompe con la tradizione che vuole le donne legate agli ambienti di mafia omertose custodi dei segreti dei loro consorti. Lei è la moglie di Giuseppe Giglio, pentito di ‘ndrangheta, condannato in via definitiva nel processo ‘Aemilia’ in abbreviato a sei anni: lui era considerato la mente economica degli affari del clan Grande Aracri nella nostra regione.

Lei, che ha avuto una pena di cinque anni e mezzo in primo grado, con il rito ordinario, è ricorsa in Appello e ora è a processo a Bologna. Il marito si è pentito nel 2016 e ha vuotato il sacco sul vorticoso giro di fatturazioni fasulle e prestanome. Lei lo ha seguito nel programma di protezione in quanto stretta familiare. E nell’ultima udienza nel carcere della Dozza ha consegnato una lettera alla Corte, attraverso il suo avvocato Luigi Li Gotti - storico difensore di pentiti come Tommaso Buscetta, Giovanni Brusca e Francesco Marino Mannoia – in cui spiega la sua versione dei fatti sulle accuse che le sono mosse e prende le distanze dal mondo che frequentava. "Riconosco di avere posto in essere le condotte indicate nei capi di imputazione", dice riferendosi alle accuse di distrazione di beni, intestazioni fittizie con metodo mafioso e bancarotta (su quest’accusa l’aggravante è caduta in primo grado) nell’ambito delle società gestite dal marito. "Ho partecipato ai fatti con un ruolo assolutamente marginale, convinta di fornire aiuto al coniuge anche per preservare il patrimonio familiare, in un periodo in cui si erano manifestate difficoltà economiche".

Ma puntualizza: "Neppure per un momento ho pensato di favorire altri soggetti, che solo dopo ho appreso appartenere ad associazioni mafiose e con i quali non ho mai avuto alcun rapporto personale o di altro genere". Per lei la difesa ha chiesto l’assoluzione, mentre il sostituto procuratore generale la conferma della pena. Curcio ha concluso la sua lettera delineando un deciso cambio di rotta: "Auspico un sereno giudizio dell’eccellentissima corte a cui affido con fiducia il mio futuro, sicura che sappiate apprezzare la mia consapevole volontà di cambiamento e di recupero dei valori di vita condivisi".

Parole che Li Gotti, esperto di pentiti di mafia, spiega così: "Lei sostiene di aver fatto ciò che il marito le chiedeva, ma di non sapere nulla di quel mondo. Il marito è diventato collaboratore di giustizia, lei tecnicamente non lo è. Anche se ha voluto fare una scelta precisa: fare sapere che lei non sta dalla parte dei mafiosi". Pure il marito è assistito dall’avvocato Li Gotti in vari procedimenti, tra cui uno che prenderà il via a fine luglio a Crotone per la bancatotta della società ‘Giglio srl’, che aveva sede operativa a Reggio ma è fallita nella città calabrese: "Chiederò che sia riconosciuta la continu azione con il processo ‘Aemilia’ perchè si tratta della società che era al centro delle accuse".