Reggio Emilia, la missione africana di Agata Miselli. "Porto la medicina in Tanzania"

La 32enne reggiana è al suo secondo soggiorno con il Cuamm

La dottoressa Agata Miselli

La dottoressa Agata Miselli

Reggio Emilia, 11 novembre 2018 - Ospedale di Tosamaganga, Tanzania, regione di Iringa. Africa sub-sahariana. C’è una piccola task force di medici italiani che, sotto le insegne del ‘Cuamm Medici con l’Africa’, ogni giorno cercano di ‘costruire’ (non solo di assistere), di rispondere alla richiesta delle donne e degli uomini africani di «essere aiutati lì dove è la loro vita, dove – spiega il direttore del Cuamm, don Dante Carraro – lottano ogni giorno per il ‘diritto di restare’». Tra quei medici, c’è anche una ragazza di Reggio. E’ Agata Miselli, 32 anni, specializzata in medicina interna all’università di Ferrara che solo qualche giorno fa è ripartita per il suo secondo soggiorno in Tanzania. Assieme a lei il compagno Luca Brasili, 31 anni, pediatra romano. Si sono conosciuti sull’aereo che li portava in Africa nel febbraio del 2017.

Hanno lavorato gomito a gomito nell’ospedale di ‘Tosa’. Lei nel reparto di medicina e nell’ambulatorio dove si curano le malattie croniche come l’ipertensione o il diabete. Lui in quello di pediatria. Mondi lontani anni luce. La Tanzania ha 53 milioni di abitanti, un medico ogni 233mila (l’Italia uno ogni 253...). «Il primo impatto? Da noi in Italia - racconta Agata - i soldi non sono un problema quando si prescrive una terapia o una diagnostica. Mi spiego: un medico italiano quasi mai si occupa di soldi, ma lo sforzo che si fa è di tipo diagnostico. In Africa no. Lì una cosa dipende dall’altra. I costi sono a carico dell’assistito e quindi devo assicurarmi che il paziente sia in grado di permettersi quello che prescrivo. E su quello calibrare le mie idee. Un approccio al quale non ero per niente abituata. Poi lì non esiste un sistema. La salute dipende tanto dalla dedizione del personale».

Ed è proprio in questa la mission del Cuamm, ‘con’ e non ‘per’ l’Africa. «Prima dicevo che in Africa non esiste un sistema sanitario. Ecco, il Cuamm cerca di gettare le basi per costruirne uno. A noi non viene chiesto solo di coprire un buco, ma di contribuire a creare il sistema». Luca invece cura i bambini e realizza il fiore all’occhiello del Cuamm, il progetto «Prima le mamme e i bambini» che ha lo scopo di garantire l’assistenza medica ai piccoli - in un continente che ha un tasso di mortalità neonatale altissimo (in Tanzania ne muoiono 48 ogni 1000 abitanti, da noi 3.5) – nei 1000 giorni che vanno dall’inizio della gravidanza al secondo anno di età. Con un macigno, la malnutrizione. «Non mi è mai pesato svolgere il mio lavoro. Quello che faccio qui però - racconta Agata - sposa in pieno l’idea che avevo quando ho deciso di studiare medicina. Forse sono legata ad un’idea romantica. Ma per me è così».