
Un’immagine dei tronchi ‘capitozzati’, ovvero tagliati di netto
Si chiama capitozzatura e consiste in una tecnica di taglio degli alberi a cui si ricorre quando alcuni di essi diventano troppo ingombranti, e allora si interviene per ridurne le dimensioni attraverso una potatura che ne riduca la chioma dei rami. A tutti sarà capitato di vedere, in vari punti della città, alberi sottoposti a questa pratica, come gli esemplari nell’area dell’ex caserma Zucchi, accanto alla sede universitaria.
Pratica che però risulta molto dannosa perché non rispettosa della salute degli alberi che la subiscono, come ci spiega il botanico Ugo Pellini. "E’ una forma di gestione delle piante che veniva utilizzata in agricoltura, per i salici e le specie che sorreggevano la vite nella piantata padana. - dice - Il salice veniva capitozzato (cimato nella punta) per fornire rami con cui legare la vite e per innalzare le pertiche. Poi si procedeva con il capitozzo all’olmo perché la vite non salisse troppo in alto. Molti contadini pensavano fosse una pratica positiva e persiste ancora tenacemente quest’opinione. Secondo vecchi agricoltori potare gli alberi li rinforzerebbe".
Ma c’è una netta distinzione da fare, per l’esperto, nell’impiego della capitozzatura. "Ciò che valeva in agricoltura non vale assolutamente per gli alberi ornamentali. Capitozzare significa impedirgli di crescere, e avere un portamento naturale. Gli alberi da frutta vengono potati per avere più rendimento e produzione, ma adesso gli alberi non sorreggono più la vite, perciò non è più pensabile di fare la stessa cosa con le piante arboree ornamentali, come accadeva una volta". L’effetto, anzi, è controproducente, oltre a essere una prassi proibita e sanzionabile: "Sanzioni stabilite dal regolamento del verde, in materia di corretta gestione delle piante – prosegue lo studioso - Reggio ha già un regolamento del verde, che dovrebbe essere aggiornato. Approvato nel 2006 dall’assessora Pinuccia Montanari, ambientalista poi approdata a Genova e Roma, con una piccola revisione nel 2013, costituiva davvero un cambio di passo, dicendo che il verde non doveva essere vissuto come problema, ma come risorsa". I tempi sono cambiati, se, come osservava un assessore di oggi, "il tema del rifiuto negli anni ‘80 era un problema di igiene pubblica mentre oggi si parla di economia circolare", ma evidentemente non per tutti è così. "Molti pensano che gli alberi siano un fastidio, che siano pericolosi – nota Pellini – Ebbene, dopo la capitozzatura lo sono ancora di più". Esiste una questione di poca conoscenza da parte dei cittadini. Le potature sono ammesse in caso di reale pericolo, vedi l’interferenza con pali della luce, ma in presenza di un tronco superiore a 30 cm e un’altezza di 20 m dal suolo, occorre un’ autorizzazione a tagliare, che va richiesta all’ufficio comunale. "Per l’abbattimento esce il consorzio fitosanitario, con i dovuti rilievi: che si pronuncerà per il sì o il no", aggiunge il botanico. D’altronde il regolamento del verde parla chiaro, ci ricorda il nostro interlocutore: "L’Articolo 6 / comma 8 dice: è vietata la capitozzatura degli esemplari arborei ornamentali, poiché tale tipologia di intervento modifica negativamente il quadro morfofisiologico delle piante, con conseguenze sia sullo stato fitosanitario sia fotostatico degli individui. La pratica danneggia infatti gravemente e irreversibilmente gli alberi, in quanto favorisce l’insorgenza delle patologie del legno, rende instabile e pericolosa la pianta, accorcia la vita dell’albero e ne snatura forma della chioma".
D’accordo, ma le sanzioni? Il problema sussiste. "C’è ancora tanta gente che crede di poter fare ciò che le pare nella sua proprietà. Invece il regolamento nasce proprio per stabilire che il verde, anche privato, è patrimonio della collettività. Sono un naturalista di vecchia data, però il ruolo fondamentale della salvezza del nostro patrimonio ambientale per la salute pubblica è ormai riconosciuto. In conclusione, occorrono norme severe, e loro applicazione, "perché le potature devono essere eseguite a regola d’arte, secondo linee arborico-culturali".