CARLOTTA MORGANA
Cronaca

Albertina Soliani: "L’imperativo morale: resistere per l’umanità"

La presidente dell’Istituto Cervi: "Papa Francesco? Un fratello tenace. Serve un nuovo 25 aprile a chi è in guerra. Siamo i nuovi partigiani".

La presidente dell’Istituto Cervi: "Papa Francesco? Un fratello tenace. Serve un nuovo 25 aprile a chi è in guerra. Siamo i nuovi partigiani".

La presidente dell’Istituto Cervi: "Papa Francesco? Un fratello tenace. Serve un nuovo 25 aprile a chi è in guerra. Siamo i nuovi partigiani".

"Ag tirom fora ‘na maestrina". Nonna Erminia ci aveva visto lungo: quella bambina con il visino dolce, lo sguardo lucido e attento, avrebbe speso l’esistenza al servizio di educazione, insegnamento (da dare e ricevere) e democrazia. Tre fari indissolubili e strettamente interconnessi su cui calibrare ogni gesto di vita, nelle minute cose di ogni giorno o nei grandi ideali, sia in Italia che in mondi lontani, come l’amatissimo Myanmar dell’amica Aung San Suu Kii, ora più che mai nel suo cuore e nelle sue azioni costanti di aiuto concreto alla popolazione sofferente tra bombardamenti, terremoto e, ora, inondazioni catastrofiche.

Non è facile dare un’etichetta ad Albertina Soliani: troppo sfaccettato il suo percorso umano, pubblico e privato, che l’ha vista attiva protagonista per gran parte del Novecento fino a oggi.

Un cammino densissimo all’insegna dell’etica del fare per gli altri, con l’obiettivo di conquistare insieme una società più giusta e ugualitaria. Un pensiero fisso che ha plasmato la "maestrina" fino a farla diventare la custode di quella religione laica che è Casa Cervi, della cui fondazione è appassionata presidente. Da qui è partito il calendario di celebrazioni per onorare la Liberazione che culminerà, il 28 ottobre (anniversario dei funerali dei sette fratelli Cervi), con una marcia, intervallata da momenti teatrali con gli studenti delle superiori, dal Poligono di tiro di Reggio Emilia (qui nell’alba livida del 28 dicembre 1943 si consumò l’eccidio) al cimitero di Campegine dove quei poveri ragazzi furono sepolti dopo il misero girovagare dei loro resti. Ma prima di approdare ai Campi Rossi, la splendida cascina dei Cervi, ne ha fatta di strada Albertina: la docenza nella scuola primaria, la direzione didattica, il coinvolgimento politico dal basso, poi l’orgoglio di conquistare un seggio quale senatrice della Repubblica, dal 30 maggio 2001 al 14 maggio 2013, eletta nelle file di Margherita, Ulivo e Pd. E poi ancora infaticabile paladina della lotta alla dittatura birmana, che l’ha portata a più riprese a intraprendere viaggi di attivismo diplomatico e di denuncia in Estremo Oriente.

A guidare ogni azione, la certezza che c’è e ci sarà sempre una luce in fondo al tunnel. In un mondo sconquassato da guerre ed equilibri fragili, con vecchi e nuovi dittatori che si contendono la scena a colpi di annunci e gesti folli, cosa resta dell’entusiasmo di ottant’anni fa, quando la speranza di un mondo migliore aveva avuto la meglio sulla tragedia di fascismo, nazismo, shoah? Albertina Soliani, classe 1944, emiliana di Boretto, passa il suo testimone alle giovani generazioni "perché, conoscendo, si assumano la responsabilità della democrazia, della fraternità, della pace. Senza incertezze, di generazione in generazione".

Sembra un programma di difficile attuazione...

"Lo è. Ma mai, come in questi giorni della storia del mondo, tutto è così chiaro. Si confrontano il bene e il male, la verità e la menzogna, la pace e la guerra. Come sempre. Stanno soverchiando la scena i pochi potenti, violenti, non interessati alla democrazia. Dominano il potere incontrollato, il denaro e la finanza, le disuguaglianze e il venir meno dei diritti. Interi popoli sono oppressi e devastati. Almeno ci fosse il dialogo e il cessate il fuoco nelle terre di conflitto. Ce lo ha spiegato molto bene anche Papa Francesco, che se ne è andato, come aveva scritto, nello stupore della fede pasquale, portando nel cuore ogni attesa di pace e liberazione".

Una perdita che colpirà anche non solo il mondo cattolico?

"Lo consideravo un fratello tenace, che ha indicato all’umanità la strada da percorrere. L’avevo incontrato il 2 ottobre 2023 a Santa Marta con il figlio di Aung San Suu Kyi. Una conversazione di grande condivisione, di stima e di affetto. Aveva offerto asilo in Vaticano alla leader birmana e poi si era detto certo che saranno le donne a cambiare il mondo. Il giorno di Pasqua non aveva dimenticato di rivolgere un pensiero al Myanmar. Un Papa che ha vissuto la Chiesa nella storia con grande coraggio e umiltà, guardando gli accadimenti dal basso. Un Papa del XXI secolo, la sua testimonianza resterà a lungo all’insegna della speranza".

Speranza, come darle una valenza più concreta?

"La speranza può venire da ciascuno di noi, dalle coscienze, dalle comunità che credono nei valori umani universali. Conquistati sempre. E difesi a carissimo prezzo".

L’attuale società, in parte ripiegata su sé stessa, dove parecchi fanno fatica a dichiararsi antifascisti, può ancora avere questi ideali? Non è anacronistico?

"Sono assolutamente convinta che le generazioni presenti non sfuggono a questo imperativo morale, l’unico che dà dignità al vivere: resistere per difendere l’umanità dalla disumanità. La stessa cosa che unisce ogni essere umano sotto tutti i cieli. Questa è la globalizzazione: fratelli tutti. Il resto, l’economia, la comunicazione, la tecnologia facilita o complica, è il bello della storia umana. Oggi, più che mai, sentiamo la democrazia come il nostro tesoro, da portare nel futuro. Per le generazioni che verranno. A loro dobbiamo costantemente fornire gli strumenti di conoscenza e istruzione".

Sempre più difficile in un’epoca di fake news e cultura usa e getta...

"Scuola, famiglia e adulti in generale hanno una grande responsabilità. Basta con le deleghe e il gioco perfido dello scaricabarile. Chi, se non i genitori per primi, hanno il dovere di educare? E poi c’è la scuola da riabilitare. Ottant’anni fa, da queste parti, c’era un dogma inciso nel marmo: l’educazione dei bambini. Quella visione che a Reggio Emilia prese il nome di Reggio Children, quella potente esperienza che portò in tutto il mondo il diritto dei bambini all’educazione. A livello personale, in fondo al cuore, porto le scelte di mia madre Isotta, che mi ha cresciuta da sola. Fu lei a difendere la mia decisione di frequentare le magistrali a Parma, nonostante a Boretto pochi capissero perché non preferisse per me la scuola professionale che apriva allora in paese. Fu ancora lei a spronarmi a laurearmi in Pedagogia alla Cattolica di Milano. Mia mamma volle darmi, a costo di grandi sacrifici, quello che a lei era stato negato: sapeva che l’istruzione è tutto. Aveva smesso di studiare in quinta elementare e a undici anni era già a servizio in una famiglia della zona. Poi lavorò nei campi e in fabbrica, fece la lavandaia a domicilio. Un grande esempio, il suo. Che mi ha fatto diventare quella che sono".

Conoscere per progredire, era anche il credo dei Cervi...

"Contadini che volevano essere liberi nella loro terra libera. Con la voglia di imparare. Non a caso appena si entra ai Campi Rossi c’è un mappamondo che i fratelli acquistarono insieme al primo trattore. La loro è la voce della vita contro le pulsioni di morte, l’intelligenza contro la stupidità. È la cura, la solidarietà contro la violenza e la sopraffazione. Cos’è stato il 25 Aprile se non questo? Una scelta del popolo. Si chiamò allora antifascismo e fu un antifascismo globale, dalla Normandia a Stalingrado, dalla Linea Gotica alle Midway. A Forlì c’è il cimitero dei Sikh, a Bologna quello dei Polacchi. Anche oggi è necessario l’antifascismo globale, per affrontare le oligarchie di questo secolo, per fermare l’assalto alle democrazie. C’era in quel 25 Aprile tutto il domani che si sognava e che non dobbiamo disperdere".