Bimba morta in slittino, l'esperto. "Su quelle piste c'è poca neve"

Luca Pezzi del Soccorso Alpino dopo gli incidenti in Alto Adige: "E' un attimo prendere velocità. Serve più prevenzione, la montagna non perdona"

Luca Pezzi, responsabile del soccorso alpino sul Monte Cusna

Luca Pezzi, responsabile del soccorso alpino sul Monte Cusna

Reggio Emilia, 5 gennaio 2019 - Luca Pezzi, responsabile del soccorso alpino dell’Emilia-Romagna della stazione Monte Cusna. Si sono verificate due tragedie in pochi giorni sulle piste da sci in Alto Adige, dove ha perso la vita anche una bambina reggiana di 8 anni, Emily Formisano. E poi un vero boom di incidenti e feriti. Un disastro. «La fatalità purtroppo è sempre in agguato sugli impianti. E sulle tragedie non si può fare altro che provare dolore».

Senza scendere nei dettagli specifici e lasciando perdere le eventuali responsabilità su cui si sta indagando, quali possono essere state le cause?

«Sono due tipi di incidenti diversi. In val di Susa (dov’è morta una bimba romana di 9 anni, ndr) la questione riguarda strettamente la pista. Mentre l’altro (che riguarda la piccola reggiana, ndr) purtroppo credo che la pochissima neve presente quest’anno in quelle zone e per di più dura, non fa altro che aumentare la velocità. E se si finisce fuori dal tracciato, ci sono gli alberi e il rischio di schiantarsi è elevatissimo».

Qual è il livello generale di sicurezza delle piste?

«Io stesso sono un frequentatore delle piste in Alto Adige e, senza addentrarmi nei casi specifici accaduti, posso dire che sono a norma. Sono sicure e hanno le paratoie necessarie per legge, inoltre ora vige l’obbligo di indossare il casco per cui credo che viene fatto tutto il possibile. Ma durante il periodo invernale e natalizio, c’è un sovraffollamento allucinante e controllare tutti diventa davvero impossibile. Nel nostro piccolo, anche in Appennino, dove i livelli di sicurezza sono più bassi anche per un discorso numerico molto meno elevato in fatto di utenza, tutti gli anni si verificano tanti incidenti e purtroppo anche disgrazie».

Potenziare i controlli dunque servirebbe a poco?

«Si può sempre fare meglio, ma purtroppo sulle piste si trova di tutto e non si può capire il livello di ognuno. Dal ragazzino che scende a cento all’ora fino al nonno inesperto che fa giocare la nipote col bob o con lo slittino. Ecco, quest’ultimo strumento, dato che riguarda anche proprio uno dei casi tragici, non è proprio semplicissimo da utilizzare. Nulla è facile in montagna se non si è un minimo esperti».

C’è poca esperienza dunque?

«Sì, c’è poca preparazione e allenamento. Ma non solo. Trovo che manchino troppo spesso buonsenso e consapevolezza di ciò che si sta andando a fare. Tante volte c’è troppa smania di voler provare tutto e subito, specie durante le vacanze. Soprattutto per quanto concerne gli sport estremi: tantissimi passano dalla palestra alla pratica reale senza avere background sufficiente e mi riferisco in particolare a sport come arrampicata e scialpinismo. Poi ripeto, la fatalità purtroppo è sempre in agguato eh. Diciamo però che le accortezze non devono essere mai troppe…».

Accortezze come?

«Non bisogna mai essere avventati. Bisogna rispettare le regole e i consigli, ma soprattutto bisogna capire i propri limiti e non azzardare mai perché la montagna non perdona».

Tanti parlano di controllare di più le attrezzature.

«Gli sci oggi hanno tutti uno standard elevato e gli slittini sono quelli che vengono noleggiati sugli impianti che non permettono di utilizzare uno proprio. Per cui non credo sia la questione prioritaria. Io porrei l’accento di più sulla cultura della prevenzione».

Niente divieti drastici quindi?

«No, credo non sortiscano effetto. Bisogna informare e partire dal basso. Quindi andare di più nelle scuole o nei gruppi Cai a sensibilizzare sui rischi. E se ancora qualcuno non lo ha capito, ciò che sta accadendo insegna che è il momento di farlo davvero».