Reggio Emilia, il referente dei Sinti. "I campi nomadi vanno chiusi"

L'idea di Vladimiro Torri: "Servono micro-aree contro la delinquenza"

Vladimiro Torre, referenti dei Sinti (Foto Artioli)

Vladimiro Torre, referenti dei Sinti (Foto Artioli)

Reggio Emilia, 23 luglio 2018 - «I campi nomadi sono lager: vanno chiusi. Solo così si può pensare di ridurre la criminalità». Vladimiro Torre, 70 anni, sinti residente a Correggio, è il referente regionale dell’associazione onlus ‘Thèm Romanò’ (‘Mondo zingaro’), alla guida della quale conduce una difficile, sotto molti aspetti, battaglia per l’integrazione dei nomadi. Una questione ritornata d’attualità anche a Reggio dopo l’ultima indagine dei carabinieri, che hanno arrestato sei persone della stessa famiglia, residenti nel campo nomadi di via Antonio da Genova, per spaccio di droga. Torre, conosceva le persone finite in manette alla Roncina? "Più o meno conosco tutti coloro che abitano nel campo". Quell’area da tempo è finita sotto l’attenzione dei carabinieri per fatti illeciti: droga, armi, soldi falsi... Possibile che nessuno dei residenti si sia mai accorto di nulla? "Diciamo che ognuno pensa per sé. Chi non ha passioni o mestiere talvolta finisce per fare scelte illecite. Ma io lo dico sempre: chi sceglie di vivere grazie alla droga sbaglia. Anche se sono poveri, preferirei che vendessero fiori porta a porta, piuttosto che spacciare". Non vogliamo generalizzare, ma molti nomadi non lavorano e vivono di accattonaggio e furti. "Sì, ma non bisogna fare di ogni erba un fascio. Reggio è la terza città più abitata da sinti: sono 1.260. Tra noi c’è chi lavora: ad esempio i miei figli in cooperative e mia nuora in una fabbrica. C’è chi raccoglie il ferro, altri sono assunti nei centri commerciali. A volte ci presentiamo ai datori di lavoro, ma quando diciamo che abitiamo in un campo ci scartano. Poi c’è chi fa scelte sbagliate". Fate mai appelli per una maggiore legalità? "I sinti che commettono reati sbagliano, fanno male a tutti noi e devono pagare il conto con la giustizia: vale per i sinti, per i gagi (i non rom, ndr), per i giostrai e i sedentari. Noi di appelli al rispetto delle regole ne facciamo quasi tutti i giorni". Cosa state facendo per migliorare l’integrazione? "In passato ho contribuito alla stesura di una legge regionale per l’inclusione di rom e sinti. Credo che sia indispensabile chiudere i campi nomadi. Se qualcuno di noi sbaglia, è giusto che sia indicato con nome e cognome. Purtroppo l’esistenza dei campi induce a generalizzare e tutti noi ci rimettiamo". Quale può essere l’alternativa ai campi nomadi? "Bisognerebbe fare microaree in ogni comune che possano accogliere al massimo quindici persone. Bisogna trovare i terreni: quelli li pagheremmo noi, magari con l’aiuto di un contributo oubblico. Poi vi costruiremmo una casetta in legno o qualche roulotte. Aree più piccole sarebbero più controllabili e si potrebbero così ridurre spaccio, furti e altri reati. Ma nessuno vuole i nomadi come vicini di casa, tutti pensano: ‘Arrivano gli zingari, ora rubano’... Anche tra noi ci sono gli onesti er i disonesti. Vogliamo che i nostri figli vadano a scuola, lavoro per i giovani e opportunità. E le colpe ricadano su chi sbaglia". A Reggio si è già cominciato a discutere di questo progetto? "Una settimana fa ho incontrato, insieme a don Daniele Simonazzi, il sindaco Luca Vecchi: secondo me si potrebbe cominciare a eliminare il campo nomadi verso Bagnolo. Non è facile, bisogna coinvolgere le associazioni e fare un lungo lavoro, però si può ragionare".