L’acquedotto romano rinvenuto con gli scavi per la costruzione del Mire, ospedale materno infantile ripresentato venerdì dalla onlus CuraRe all’insegna di assistenza, formazione e ricerca, è stato sezionato con cura e in queste ore viene trasferito in 9 conci da circa 2 metri l’uno su di un basamento appositamente costruito. Quella sarà la sua collocazione definitiva, all’aperto ma con adeguate protezioni atmosferiche, di fianco alla struttura che sta crescendo nell’area del Santa Maria Nuova. Il complesso recupero dell’acquedotto romano è stato curato dalla Sovrintendenza ai beni archeologici, il trasferimento dei conci avviene a cura dell’ufficio tecnico dell’arcispedale.
"All’ultimo piano del Mire, nel cosiddetto ’giardino d’inverno’, una sala museografica ospiterà pannelli con foto e cenni storici dedicati all’acquedotto", annuncia Tiziano Binini, presidente dello studio Binini Partners , che dirige i lavori del nuovo padiglione ospedaliero e ne ha firmato il progetto finanziato da CuraRe. "Trovammo la prima traccia di antiche vie d’acqua costruendo il Core, il padiglione oncoematologico. L’acquedotto affiorato ora e ancora all’esame della Sovrintendenza, tangente del precedente, è però più vistoso. È un manufatto romano in calcestruzzo, alto 2 metri e largo uno e mezzo con evidenti calcificazioni. Mappe di epoche successive testimoniano peraltro come l’area sulla quale sorge l’arcispedale fosse attraversata da una rete di acquedotti e vie d’acqua che portavano l’acqua in città da affluenti dei corsi d’acqua maggiori".
"Il ritrovamento dell’acquedotto, previsto anche se non di queste proporzioni, ha contribuito a ritardare i lavori del Mire, senza però imporne il blocco. Certamente da oggi il cantiere procederà più rapido e noi contiamo proprio di finire entro il 2026".
Bruno Cancellieri