
Aristide Ganassi in un vecchio scatto assieme ai suoi figli, Paola e Ferruccio
di Antonio LecciSi chiude un cerchio storico, una pagina buia per la famiglia di Aristide Ganassi, nella cui tomba di famiglia, al cimitero di Baiso, ci sono foto e nome ma nulla all’interno. Lunedì, al cimitero di Campagnola, i nipoti di Aristide – una delle vittime uccise dell’immediato dopoguerra dai partigiani – riceveranno i resti recuperati dal Cavòn e riconducibili al medico, all’epoca responsabile del presidio sanitario di Castelnovo Monti. Si tratta del teschio, che l’esame del Dna ha confermato essere quello di Ganassi. I carabinieri del Ris di Parma e del nucleo operativo di Reggio isoleranno il teschio dalla cassettina in cui si trova, per poi affidarlo ai parenti.
"Lo riporremo in una cassa zincata – conferma la nipote Barbara Ganassi – per poi trasferirlo al cimitero di Baiso, dove da tempo mio padre Ferruccio e mia zia Paola avevano preparato lo spazio, nella tomba di famiglia. Entrambi i figli non sapranno mai questa verità emersa di recente, grazie a nuove indagini della Procura di Reggio. Mio padre è deceduto nel 2020, mentre sua sorella Paola è scomparsa un paio di mesi fa. Quando avvenne il riconoscimento lei, che abitava a Roma, non stava per bene. Attendevamo una sua ripresa per darle una notizia che l’avrebbe emozionata molto. Ma ci ha lasciato prima…".
Saranno dunque in nipoti, in particolare Barbara, a occuparsi del trasferimento dei resti del nonno a Baiso, dove il medico venne catturato e poi ucciso, ottant’anni fa. Il corpo, con quelli di altre diciassette persone, venne sepolto alle porte di Campagnola, nel cosiddetto Cavòn. I delitti avvennero subito dopo la Liberazione: i partigiani iniziarono a rapire fascisti, o presunti tali, per farli sparire come atto di vendetta.
"Ma mio nonno era un medico: curava tutti, senza distinzione di idee, politica, cultura, pensiero… Chissà perché venne ucciso. Forse volevano colpire persone in vista del paese", commenta la nipote. Solo nel 1991, grazie a una segnalazione anonima che indicava dove scavare, vennero recuperati diciotto resti scheletrici.
"Ora, finalmente, potremo mettere i resti recuperati nella tomba del nonno" dice Barbara Ganassi. Che poi riflette: "Ogni tanto mi chiedono se saremmo pronti a perdonare coloro che hanno compiuti quei delitti, facendo sparire i corpi per decenni. Io credo che il perdono andrebbe dato da coloro che il torto l’hanno subito, non dagli eredi".