Passo veloce e sguardo basso, per percorrere quanto più rapidamente via Eritrea. Ogni sera, quando esco dalla redazione e mi allontano dal centro storico, perdendomi in strade secondarie e più isolate, chiamo qualcuno al cellulare. "Ti disturbo? Sto andando in stazione, puoi tenermi compagnia?". Ormai è un’abitudine, perché ho capito che quando ti mostri affacendata ti importunano di meno. E quando invece sono sola e nemmeno il telefono può ’salvarmi’, il mio sguardo è rivolto verso l’asfalto, perché se si evita il contatto visivo si smorza in partenza qualsiasi tipo di approccio. Ma via Eritrea è così cupa e poco presiediata che il percorso, proprio in quel tratto, diventa una passerella fra uomini e commenti non richiesti: "Ehi bella vieni qua". Fanno finta di niente le donne: non si girano, non reagiscono, non rispondono. Ma non lo fanno per ’superiorità’, quanto piuttosto perché temono di essere aggredite poi. Ho visto come certi uomini osservano ragazze a volte così giovani che potrebbero essere loro figlie. Sguardi ossessivi, molesti.
Io, ho indossato una gonna una sola volta, poi ho capito che in questo posto è meglio evitare. Commenti irritanti prendono facilmente piede, piuttosto preferisco cambiare il mio modo di vestire. Ogni tanto, quando cammino, mi giro a guardare indietro perché temo di essere pedinata e derubata. Non è apprensione, a qualcuna è già successo.
Quando arrivi in piazzale Marconi però ti rendi conto che la situazione non è tanto diversa.
C’è chi spaccia davanti gli occhi di tutti, chi urla e chi al passaggio ti scruta. Poi ci sono i tossicodipendenti che, seppure non direttamente, spesso diventano molesti. Come un ragazzo che quasi tutte le sera transita davanti all’ingresso principale della stazione: a volte con i pantaloni completamente abbassati, altre volte toccandosi le parti intime.
Scene raccapriccianti di una fetta di società ai margini, che allo stesso tempo spaventa, importuna e mette a disagio.