Reggio Emilia, Lindo Ferretti. "I Chiostri? Una splendida cavallerizza"

Lo scrittore e cantautore: "Temo che diventi un contenitore multiuso"

I chiostri di San Pietro con l’architetto Franca Manenti Valli

I chiostri di San Pietro con l’architetto Franca Manenti Valli

Reggio Emilia, 21 settembre 2018 - Ospitiamo qui un intervento dello scrittore, cantautore ed ex attivista Giovanni Lindo Ferretti sui Chiostri benedettini di San Pietro.

L’intero complesso architettonico, confiscato dal regime napoleonico con la soppressione degli Ordini Religiosi, poi passato al Ducato di Modena e Reggio quindi allo Stato italiano, è stato, in tutto questo tempo, adibito a prigione e caserma. Negli anni ‘60 e ‘70 uscivano da lì le camionette e i gipponi della Celere, i reparti antisommossa che eccitavano i giorni della nostra giovinezza. Ora attende una destinazione d’uso come patrimonio municipale. Per il Chiostro grande temo una pavimentazione a livello, una sistemazione di maniera. L’avvento del pieno, rifinito, rassicurante. Temo la riduzione a generico contenitore multiuso. Temo i progetti di abbellimento inevitabilmente omologanti, l’idea che rigettando l’esser provincia si ottenga uno status metropolitano. Non rievocare il passato. Non adagiarsi sul presente. Non forzarsi al futuro. L’incompiutezza, tra terra e cielo, è la lezione dei Chiostri. Basta e avanza.

Il grande chiostro è uno straordinario artificio scenico. Uno squadrato appiombo di vuoti e pieni a cielo aperto. Tre fasce orizzontali sovrapposte, stilisticamente discordanti, per uno sviluppo verticale. La razionalità umanistica è già incrinata nella progettazione ma, cinquecento anni dopo, nella potenza e nella bellezza dei cavalli di Saga trova una propria magnificenza d’uso. Bassofondo e centrale il palcoscenico/arena aperto sui quattro lati. Il pubblico non costretto all’immobilità di un posto assegnato ma accomodato secondo il proprio agio - deambulante - sotto gli archi e tra i pilastri aggregati delle logge rinascimentali o - meraviglia! - affacciato alle finestre binate del piano alto. Finestre intervallate da nicchie in cui i Santi benedettini, plasticamente devoti ma acciaccati dal tempo, sembrano in attesa di un teletrasporto e la sovrastante michelangiolesca cupola di piombo altro non è che l’estrema propaggine dell’astronave stellare che, dall’alto dei cieli, tarda a recuperarli.

La messa in scena è duplice e speculare: in terra e in cielo. I Chiostri benedettini di San Pietro sarebbero la perfetta dimora urbana di un teatro di anime e di animali. Proprio il grande chiostro cinquecentesco, irrisolto nella sua destinazione alle necessità claustrali, risponde in pieno ad una vocazione scenica: è la più spettacolare cavallerizza del contemporaneo. Che nessuno lo sappia è ovvio, chi necessita di una cavallerizza?