"Ci sono troppi diritti che vengono violati Dobbiamo tornare nei luoghi di conflitto"

Cristian Sesena, segretario della Cgil, parla di lavoro e sindacato in un mondo sempre più virtuale: "Dobbiamo diventare attivisti digitali"

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di Saverio

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Rider, facchini, partite iva, part-time involontari, stagionali, professionisti del web. Identità sfuggenti, poco o per nulla sindacalizzate, cresciute a dismisura dal combinato disposto del Covid con le nuove tecnologie. Non basta più la classica iconografia delle ’tute blu’, il mondo del lavoro si è fatto più sfattettato e, a volte, invisibile.

Oggi, Primo Maggio 2022, abbiamo scelto di parlare di loro con il segretario della Camera del Lavoro, eletto da appena un anno, Cristian Sesena.

Rider e delivery. Ora se ne parla meno di mesi fa. Cosa è accaduto nel frattempo?

"Innanzitutto ricordo che durante il lockdown, nelle riprese delle piazze deserte, dietro al giornalista si vedevano soltanto loro: i rider. Il paradosso è che durante le chiusure avevamo imprese che si sono fermate completamente, mentre altre hanno raddoppiato la loro attività.

Penso ad Amazon, con magazzini e stoccaggio, ma poi anche al delivery generico. I driver e i rider sono povertà del lavoro 4.0".

Quanto conta la tecnologia?

"Molto. Sono figli di un rapporto avvenieristico tra cliente e prodotto, che però scarica i costi sulla filiera del lavoro.

Molti non sono dipendenti, tanti sono partite iva o collaboratori occasionali. Non sono nemmeno figure con un padrone, perché non lo vedono mai fisicamente, sono soggetti a un’app. Se non sono sempre disponibili l’algoritmo li fa passare in fondo al ranking e non vengono più chiamati. Noi abbiamo fatto cause a Deliveroo proprio contro il loro algoritmo...".

Come mai nessuno è stato in grado di tutelarli?

"Queste aziende si infilano nelle maglie aperte che si sono accumulate con le riforme del mercato del lavoro.

In Italia c’è terreno fertile, non fanno certo le stesse cose in Danimarca...".

Qualcosa però si è mosso.

"Il primo importante accordo è stato con Just Eat, che ha deciso di garantire il part-time. Questo ha rotto il fronte della Assodelivery.

Poi è arrivato il riconoscimento del contratto collettivo di merci e logistica. Ma per ora è ancora un caso isolato: Deliveroo e Glovo, ad esempio, stanno ancora facendo finti contratti da autonomi".

Il sindacato, nel frattempo, è lento nell’adeguarsi e intercettare queste persone.

"E’ un problema serio. Facciamo fatica a organizzare questi lavoratori con i nostri strumenti classici. Dobbiamo rigenerarci. Noi abbiamo una struttura che è ancora finalizzata a leggere il lavoro su due paradigmi: manifatturiero e pubblico impiego. In realtà il mondo del lavoro non sta più solamente sotto questo ombrello".

Chi altro c’è?

"Ad esempio gli autonomi delle piattaforme digitali. Sono persone che bisogna trovare casa per casa. La frammentazione degli orari produttivi poi ci costringerebbe a stare nelle aziende dalle 6 di mattina alle 10 di sera per parlare con tutti: molto difficile. E poi ci sono i part-time ’involontari’, con contratti corretti ma che vivono in povertà".

Ci spieghi meglio.

"Se cerco lavoro al Carrefour, Esselunga, nella grande distribuzione, magari trovo solo contratti da 1624 ore su turni.

Poi mi accorgo che così non mangio e prego per fare gli straordinari, che gli altri non vogliono fare. E così divento ricattabile. E’ un problema che riguarda soprattutto le donne".

Cosa può fare la Cgil per scrollarsi la patina novecentesca e parlare linguaggi nuovi?

"E’ un tema strutturale: cambiamo più lentamente di come cambia il mercato del lavoro. Oggi ci sono generazioni di lavoratori inconsapevoli del proprio contratto.

Siamo in una lunga fase di spiazzamento, anche di linguaggio. E noi fatichiamo a intercettare queste identità".

Lei ha 48 anni. Una ricetta l’avrà pur in mente...

"Io ho posto il tema della comunicazione, del “attivisimo digitale“. Le nuove tecnologie sono bestie pericolose, ma se utilizzate bene sono uno strumento forte. Si deve imparare a fare sindacato nell’era dei social media. Si deve arrivare lì dove stanno questi lavoratori, contattarli, farsi conoscere e ’bonificare’ la discussione sul web. Stiamo cominciando a farlo.

Sul piano locale abbiamo incrementato le pagine Instagram, Facebook e Twitter. Non bisogna essere “altezzosi“".

E sta funzionando?

"Veniamo contattati molto sui social ora. E abbiamo imparato a fare assemblee virtuali, sperimentate durante il Covid".

Ci sono resistenze interne?

"Difficoltà, più che resistenze. Rappresentiamo più di 50mila pensionati, che hanno a che fare col cambiamento digitale. E quindi i nostri attivisti pensionati fanno più fatica. Questo non toglie che siamo un’associazione di contatto, faccia a faccia. Non cerchiamo un Aventino social. Dobbiamo affiancare strumenti nuovi a quelli vecchi".

Ecco, come si muove il sindacato di oggi ’in presenza’?

"La strategia è anche quella di tornare nei luoghi di conflitto, come il sistema degli appalti e della logistica.

Realtà dove ci sono violazioni di diritti costanti. Poi stiamo lavorando sul mondo studentesco, su cui è mancato totalmente un discorso articolato. Nella nostra città non basta esaltarsi perché sono aumentati gli universitari, se non hanno case, mense, mezzi di trasporto a certi orari, luoghi di aggregazione dedicati... Così come sull’alternanza scuola-lavoro: non si può credere che Reggio sia Disneyland solo perché non abbiamo avuto morti, bisogna vigilare. Ci stiamo provando.".

Turismo: la montagna lancia l’Sos sulla carenza di lavoratori. I giovani non vogliono impegnarsi o c’è qualcos’altro?

"Partiamo dalla ’narrazione’ generale iniziata con le parole di Alessandro Borghese.

In questo settore hai una condizione di stagionalità fatta di imprenditori che ottimizzano in pochi mesi il profitto. Molte volte fanno contratti da 20 ore alla settimana ma in realtà ne fortettizzano in nero altre 30. E poi alla fine della stagione fanno firmare un documento che obbliga a rinunciare a qualsiasi rivendicazione.

Non è neanche vero che il binomio sia reddito di cittadinanzadisoccupati, perché chi lo percepisce è generalmente ultra 50enne e scarsamente scolarizzato, nessuna impresa turistica lo assumerebbe".

Sta di fatto che i giovani rinunciano, dicono gli operatori.

"E’ chiaro che bisogna mettersi nella testa che questo settore prevede di lavorare nel weekend. Ma va preteso il riposo. Il caso della montagna è anche sfortunato per il bacino occupazionale scarso su cui insiste. Ma siamo sicuri che siano stati garantiti loro tutti i diritti?".

Un’altra categoria che rischia di rimanere a bocca asciutta è quella dei professionisti sanitari assunti durante il Covid.

"Ad ora sono circa 300 a Reggio, di cui 200 tra infermieri e oss. Ci sono accordi regionali che determinano una stabilizzazione progressiva, dopodiché c’è un problmea grosso come una casa: la Regione è in difficoltà economica, sta ancora cercando di rientrare delle spese extra-Covid.

Chi ha agito meglio come Emilia-Romagna e Toscana è in affanno. Servirebbe un fronte comune verso il Governo, che ha promesso tanto ma non sta mantenendo. Se ne parla troppo poco".