Con un pugno le ruppe un timpano

Un 53enne condannato a 1 anno e 9 mesi per gli episodi di violenza sulla moglie. La difesa: "Faremo appello"

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di Alessandra Codeluppi

Un uomo di 53 anni, nomade con diversi precedenti, è stato condannato ieri dal giudice Silvia Semprini a 1 anno e 9 mesi per maltrattamenti nei confronti della moglie.

Secondo l’accusa, l’avrebbe percossa con schiaffi, pugni e tirandole i capelli. Nel giugno 2014 durante un litigio le avrebbe sferrato un pugno al volto e all’orecchio, rompendole il timpano. Nel settembre dello stesso anno le avrebbe dato calci e pugni causandole conseguenze per cinque giorni. Nel marzo 2015, per impedirle di uscire dalla camera da letto, le avrebbe dato due morsi al braccio e due alla gamba. Poi avrebbe brandito un coltello in cucina e, minacciando di ucciderla, le avrebbe procuratore un graffio al braccio. Il 53enne doveva anche rispondere di lesioni aggravate per quest’ultimo episodio, poiché alla donna erano state diagnosticate conseguenze per venti giorni. E, dello stesso reato, anche per essersi scagliato contro la figlia 32enne, presa a pugni in tutto il corpo, morsicata al braccio e fatta cadere a terra, per poi essere raggiunta da un calcio e averle dato il giorno dopo, davanti alla caserma dei carabinieri, un pugno.Per questi due anche la figlia ha avuto una prognosi di venti giorni, mentre per lui era scattato l’arresto in flagranza da parte dei carabinieri.

Per l’uomo il pm ha chiesto 3 anni di condanna. Ha rimarcato che la moglie era diventata "teste falso": "Per paura aveva ritrattato quanto denunciato sull’uomo che era andato davanti alla caserma dove lei aveva cercato riparo. Lui pretendeva che la donna uscisse da lì e non lo denunciasse". Ha richiamato la deposizione di un testimone, secondo cui più volte era andato a casa della donna per aiutarla contro il marito: "La sera prima dell’arresto di lui, ero andato là ma lei non c’era. Il giorno dopo la chiamai al telefono: aveva trascorso la notte all’aperto coi figli perché a casa erano stati aggrediti".

Sull’episodio del coltello, il pm spiega che "prima la moglie ha detto di averlo usato lei. Poi, su nostra contestazione, ha ritrattato". Altra conferma: "Pure il figlio dice di avere assistito a violenza del padre verso la figlia. E di essersi allontanato quando in casa c’erano scontri". Da qui la richiesta del pm di condanna per maltrattamenti, con attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti e la continuazione con le altre accuse.

L’avvocato difensore Maurizio Attolini ha sostenuto che i fatti fossero provati: "A differenza di altri casi non mi permetto di sconfessare la ricostruzione del pm". Ha però rimarcato di non credere a una storia di vessazioni continue durate quanto la loro convivenza, cioè trent’anni: "Come avrebbe potuto resistere la moglie?". Ha chiesto di derubricare i maltrattamenti in lesioni, di assorbire in quest’accusa le lesioni alla moglie e, per il reato verso la figlia, il non doversi procedere per mancanza di querela (in subordine la continuazione, le generiche prevalenti e il minimo della pena). Il giudice ha pronunciato per entrambe le imputazioni per lesioni il non doversi procedere.

L’avvocato Attolini preannuncia "ricorso in Appello".