di Alessandra Codeluppi
Quattordici anni di reclusione per Salvatore Grande Aracri, 42 anni, di Brescello, nipote del boss della ‘ndrangheta Nicolino. Altrettanti per Salvatore Francesco Romano, 33enne artigiano che risultava residente a Cutro ma abitava a Cadelbosco. Sono per loro le richieste di pena più pesanti avanzate ieri dalla Dda di Catanzaro nel processo ‘Farmabusiness’ con rito abbreviato. I pm antimafia hanno chiesto 8 anni anche per Giuseppe Ciampà, 42 anni, che dopo aver vissuto a Brescello si era trasferito a Cutro dal 2010. Tutti e tre gli imputati legati al nostro territorio sono accusati di associazione mafiosa nell’inchiesta, coordinata dal procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri, che ha setacciato gli affari illeciti della cosca Grande Aracri e dei presunti sodali nel settore delle farmacie, realizzati, secondo l’accusa, anche attraverso il sostegno della politica. "Al Consorzio già quattro farmacie stanno consorziate... cioè nel senso... ci mancano solo le licenze. Però ci sono queste quattro farmacie che ce le hanno portate un po’ noi e un po’ l’assessore": così diceva il 43enne di Brescello durante il summit di ‘ndrangheta, datato 7 giugno 2014, nella casa a Cutro dello zio, il boss Nicolino Grande Aracri. Secondo gli inquirenti, questa frase testimonierebbe "già ai quei tempi l’impegno personale" dell’allora assessore regionale della Calabria Domenico Tallini che un anno fa, quand’era presidente del consiglio regionale della Calabria, fu arrestato: per lui, accusato di concorso esterno alla mafia e scambio elettorale politico-mafioso, la richiesta è di 7 anni e 8 mesi. Secondo l’accusa, il brescellese Grande Aracri avrebbe controllato l’intero business del consorzio di farmacie Farma Italia e delle parafarmacie ‘Farmaeko’, poi fallite, e attribuito in modo fittizio i capitali ad altri imputati. Un anno fa, quando scattarono le misure cautelari, furono i carabinieri di Reggio ad arrestare Romano: secondo gli investigatori "coordinava la cosca durante la detenzione del suocero Ernesto Grande Aracri e faceva estorsioni", di cui ha sposato la figlia Sara. Ernesto è uno dei fratelli del boss Nicolino e marito di Serafina Brugnano, altra imputata: per la cutrese 44enne la richiesta di pena è di 10 anni. Ciampà è invece ritenuto "un partecipe incaricato di accaparrarsi lavori". Tra le domande di condanna avanzate per venti imputati dal procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla e dal pm Domenico Capomolla, figurano anche quelle per la moglie e la figlia del boss di Cutro: parliamo di Giuseppina Mauro, 67enne di Cutro, per la quale sono stati chiesti 12 anni, e della 39enne Elisabetta Grande Aracri, per la quale ne sono stati domandati 10. Secondo la Dda, le due donne avrebbero ricoperto un ruolo di primo piano nel portare avanti le attività della cosca mentre i loro mariti e padri erano detenuti. A inizio anno Nicolino Grande Aracri (la cui posizione è stata stralciata) disse di volersi pentire, ma poi non fu ritenuto credibile: secondo il procuratore Gratteri, la sua fu solo una mossa strategica per cercare di proteggere il cuore della sua famiglia, sminuendo, addirittura, il ruolo della moglie.