Coronavirus Reggio Emilia, da 40 anni su un'ambulanza. "Non siamo eroi, proteggeteci"

Lo sfogo di Gianni Munari, 62 anni, volontario della Croce Rossa: "Dispositivi arrivati in ritardo e non c’è una polizza che possa coprire il nostro rischio"

Gianni Munari, 62 anni, da più di quarant’anni fa il volontario sull’ambulanza

Gianni Munari, 62 anni, da più di quarant’anni fa il volontario sull’ambulanza

Reggio Emilia, 7 aprile 2020 - "Non siamo eroi, ma umani. Vogliamo essere istituzionalmente riconosciuti". Gianni Munari, 62 anni, presta servizio in ambulanza alla Croce Verde di Reggio da quarant’anni. Dalle sue parole, scritte in una lettera alla redazione del Carlino , si respirano preoccupazione e stanchezza mai provate prima. "A titolo esclusivamente personale – precisa – ho voluto esternare come sto vivendo questa situazione. Sono un volontario soccorritore in ambulanza, per i casi covid-19. Ora, non essendo più giovanissimo e vicino all’età a rischio, faccio solo due turni alla settimana. Penso che ci dovrebbe essere più attenzione nei confronti di chi presta pubblico servizio".

Leggi anche I numeri dell'Emilia Romagna - Tre milioni di mascherine gratis per i cittadini - Italia, il bollettino del 6 aprile

Vale a dire? "Noi non siamo in prima linea, siamo proprio fuori, a contatto diretto col ‘nemico’. Non dobbiamo svolgere nessuna manovra di tipo rianimatorio, ma siamo pur sempre nello stesso abitacolo con un positivo. Quando arrivo in ospedale vedo l’infermiera che, giustamente, parla al paziente con camice verde, visiera e mascherina Ffp2. Lo stesso paziente con cui io ho condiviso uno spazio di due metri per tre, al chiuso".

Leggi anche Sintomi e terapie Mascherine, la guida - Decreto scuola: tutte le novità Il modulo per l'autocertificazione

Nella sua lettera parla del problema dei dispositivi di sicurezza, spesso insufficienti.

"Adesso cominciano ad arrivare, ma è anche passato già un mese di emergenza".

Emilia Romagna, tre milioni di mascherine in arrivo

Un esempio?

"La tuta intera, quella bianca, è il presidio per eccellenza. Però ha una particolarità: nel momento in cui me la tolgo serve una procedura attenta e lunga, perché è il momento in cui mi posso infettare, può essere la distrazione di un attimo. Infatti la svestizione va fatta sempre in due, con uno che controlla e ti segue. Altrimenti serve un canale di decontaminazione, ossia un ‘cubicolo’ dove si viene disinfettati prima di togliersi la tuta, ma in Italia ce ne sono pochissimi".

Voi quali usate? "Noi mettiamo i camici perché sono più veloci. Non voglio criticare l’Ausl, la quale anzi ci da tutto quello può e non nega nulla a nessuno. Mascherine, per il momento, ce ne sono ma non sono sufficienti".

LEGGI ANCHE I numeri a Reggio Emilia

A livello assicurativo? "Quello è un dramma. Non esiste, che io sappia, una polizza che mi copre se mi infetto. Stiamo parlando di una malattia che non ha via di mezzo: o guarisci o muori. Il dipartimento protezione civile si sta adoperando in questo senso, ma c’è tutta procedura per iscrivere volontari a un registro. Una burocrazia infinita. Ma poi, non raccontiamocela".

In che senso? "Esiste davvero un’assicurazione che garantisce per me? Chi può dimostrare che il collegamento alla malattia sia il tuo servizio e non il fatto che sei andato a fare la spesa? Dovrebbe esserci un intervento di tipo pubblico, un fondo dedicato. Qualcosa che ci dica: ‘Lavorate tranquilli’, le garantisco che non sarebbe poco".