Covid e decreto: impianti sciistici al palo

Il sindaco Sassi: "Rischiamo di affrontare delle spese per i lavori di adeguamento senza avere la certezza di metterli in funzione"

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Bloccati al palo gli impianti delle stazioni invernali dell’Appennino dal decreto anti-covid-19, gli operatori sono preoccupati perché temono che i sacrifici e i costi economici sostenuti per la messa a punto degli impianti (anche alla luce delle nuove esigenze anti-assembramento), siano vanificati da questa emergenza sanitaria che non si arresta mai.

Mentre alle stazioni di Cerreto Laghi e Ventasso Laghi in clima di normalità mancherebbe solo la neve per partire, la stazione di Febbio (Villa Minozzo), superati finalmente i contrasti sorti fra gestore e proprietà, si sta muovendo su nuovi accordi per cercare di recuperare il tempo perduto.

Con la mediazione del sindaco Elio Ivo Sassi, sono in corso trattative con la vecchia gestione e gli usi civici per la ripresa dei lavori necessari al funzionamento degli impianti della stazione di Febbio.

Il sindaco Sassi, che proprio oggi conclude i suoi 10 giorni di quarantena avendo avuto contatti di lavoro con il sindaco di Toano, Vincenzo Volpi, colpito dal covid-19, sugli sviluppi della stazione di Febbio precisa: "Dalla Regione siamo riusciti ad ottenere quasi 300mila euro per poter eseguire gli interventi necessari alla funzionalità della stazione di Febbio. Stiamo cercando di trovare un accordo con la vecchia gestione per l’esecuzione dei lavori necessari e il proseguimento della gestione. La preoccupazione nostra e degli stessi operatori è quella di affrontare oggi delle spese per i lavori di messa a punto degli impianti senza avere la certezza di metterli in funzione e quindi di recuperare, almeno parzialmente, le spese. Non sappiamo come andranno le cose, però se non si arresta il contagio del coronavirus, ho paura che gli impianti sciistici quest’anno restino al palo".

Il sindaco Sassi è preoccupato per l’economia ‘spicciola’ diffusa sul territorio di Villa Minozzo. "Da San Bartolomeo sul Secchia arriviamo a Civago – aggiunge Sassi – sono 35 km di strada con bar e ristoranti in ogni borgo che sono sempre stati punti di riferimento per i turisti e validi sostegni all’economia locale. Con questa emergenza sanitaria i turisti non si fermano nei locali lungo la strada, vanno oltre fino a raggiungere i rifuggi del crinale".

E aggiunge: "L’estate scorsa abbiamo avuto un boom di presenze turistiche, però nei borghi e nei rifugi dell’alto Appennino dove trovano un maggiore spazio di libertà. Anche adesso ci sono famiglie e piccoli gruppi di escursionisti che, approfittando del bel tempo, raggiungono i diversi rifugi: dalla Bargetana al Battisti, Abetina Reale, Monteorsaro e San Leonardo di Civago. Luoghi in cui non c’è assembramento perché uno si prende un panino e va a mangiarselo sotto un albero, assaporando anche un senso di libertà che non nuoce alla salute".

Purtroppo però, conclude amareggiato, "abbiamo perso anche le tradizionali feste autunnali, delle castagne e dei funghi, che anche quelle valgono un pozzo di economia per il nostro mosaico un po’ troppo lacerato".

Settimo Baisi