
Il giovane uccise il 58enne Paolo a martellate e tentò di avvelenare la madre. I giudici: 24 anni e due mesi di pena. I difensori: "Andremo in Cassazione".
La condanna è stata confermata: 24 anni e 2 mesi. Ed è stata di nuovo ritenuta provata l’aggravante della premeditazione, sulla quale le difese hanno dato e continueranno a dare battaglia. È il verdetto emesso ieri nel secondo processo a Bologna davanti alla Corte d’Assise d’Appello che vede imputato Marco Eletti per il doppio gesto sanguinario di cui si rese responsabile verso i suoi familiari: la morte di Paolo Eletti, il 58enne che lo allevò e di cui portava il cognome ma che, come emerso da un’indagine difensiva, non era il padre biologico; il tentato omicidio della madre Sabrina Guidetti. Quattro anni fa, a San Martino, il 24 aprile 2021, nella casa dei genitori in via Magnanini, il giovane stordì la madre con bignè riempiti di benzodiazepine, che andò in coma e si salvò dopo una lunga degenza, e uccise a martellate Eletti, l’uomo che gli diede il proprio cognome. Lui, Marco, faceva l’impiegato e conviveva con una ragazza a Reggio; aveva pubblicato romanzi thriller e di fantascienza ed era sfilato in tv come concorrente nella trasmissione ‘L’Eredità’. Appariva un ragazzo come tanti, con il desiderio di farsi notare come scrittore. Per entrambe le accuse - l’omicidio del 58enne e quello tentato della mamma - il pubblico ministero Piera Cristina Giannusa formulò le aggravanti della premeditazione e dei futili motivi, nonché quella di aver colpito un ascendente, che poi cadde su impulso delle difese.
Eletti fu condannato sia dal tribunale reggiano – davanti al quale confessò la responsabilità durante il dibattimento – sia nel primo processo in Appello a 24 anni e 2 mesi. Tra i possibili moventi, il pm aveva ipotizzato la doppia vita dei genitori (il padre aveva una diversa identità di genere, la madre coltivava una relazione extraconiugale), la scoperta di non essere il figlio naturale di Paolo, le pressioni perché lui andasse ad abitare nella casa di San Martino o il suo desiderio di diventarne unico proprietario. Non fu trovata una spiegazione univoca sulla causa che lo spinse a uccidere e così anche i futili motivi caddero in primo grado. Al giovane è stata riconosciuta "una fragilità emotiva causata dall’ambiente disfunzionale nel quale è vissuto".
La premeditazione fu invece riconosciuta dai giudici reggiani e anche nel primo processo in Appello. Secondo i legali di Marco Eletti, invece, fu pianificata solo l’aggressione alla madre, ma non quella al 58enne, il cui delitto sarebbe stato frutto, a loro dire, di un gesto d’impeto. Ricorrendo in Cassazione, nel novembre 2024 la difesa aveva ottenuto l’annullamento della sentenza di secondo grado e il rinvio in Appello per un nuovo processo, quello celebrato ieri, incentrato sulla sussistenza o meno dell’aggravante.
La difesa sostiene che l’equivoco di fondo è ritenere che l’omicidio del padre sia premeditato "solo perché è avvenuto, alla luce del fatto che la prima Corte d’Appello, per superare le obiezioni difensive, non aderì all’ipotesi esclusiva della contaminazione dei pasticcini, come fatto dal primo giudice, bensì ipotizzò l’utilizzo di altri cibi, che poi il padre non avrebbe comunque mangiato".
Ieri la Procura generale ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado, mentre gli avvocati Bucchi e Scarcella hanno sostenuto che la prova della premeditazione dell’omicidio non c’è. La Corte d’Assise d’Appello presieduta da Rocco Criscuolo, a latere Mirko Margiocco, ha accolto le richieste avanzate dalla pubblica accusa.
Gli avvocati Bucchi e Scarcella insisteranno nelle loro tesi difensive: "Una volta lette le motivazioni, che saranno depositate entro 90 giorni, ricorreremo in Cassazione".