
di Alessandra Codeluppi
Il ruolo trainante lo avrebbe avuto il genero, il 43enne Riccardo Guida, affiancato dalla moglie, e figlia della vittima, la 38enne Silvia Pedrazzini. Mentre la vedova, Marta Ghilardini, 64 anni sarebbe stata tutt’altro che succube dei due, a differenza di quanto lei sostiene: "Avrebbe dovuto parlare, quand’era venuta a sapere del disegno criminoso dei parenti. Invece, pur potendo, non ha mai fatto nulla per impedire il triste destino del marito. Anzi, lei stessa ha partecipato".
Per i tre imputati il pubblico ministero Piera Cristina Giannusa ha attribuito un peso pressoché paritario nel determinare la terribile parabola di Giuseppe Pedrazzini, scomparso e poi trovato morto l’11 maggio 2022 a 77 anni nel pozzo di casa a Cerrè Marabino, frazione di Toano. Per Silvia e il marito Riccardo, a processo in abbreviato, il pm ha chiesto 18 anni e 2 mesi di condanna. Per la moglie della vittima ha domandato il rinvio a giudizio. Davanti al giudice dell’udienza preliminare Andrea Rat, sono queste le richieste che il magistrato ha formulato al termine di una requisitoria inziata alle 09.40 e conclusa sei ore dopo.
"Dopo la lipotimia", che portò l’anziano il 9 dicembre 2021 all’ospedale Sant’Anna, secondo il pm "i tre ordirono un piano per segregare in casa Pedrazzini, con vessazioni idonee a portarlo alla morte, fatto da loro previsto e - ipotizza Giannusa - forse voluto". Ora i tre devono rispondere di maltrattamenti aggravati per aver causato il decesso e perché inflitti davanti al nipote minorenne; sequestro di persona; omissione di soccorso nel giorno della morte (5 marzo 2022); truffa all’Inps per aver continuato a intascare la sua pensione; soppressione di cadavere.
La coppia Pedrazzini-Guida, difesa dall’avvocato Ernesto D’Andrea, si è presentata in aula per poi andare via in mattinata. In tribunale c’era anche Ghilardini, assistita dall’avvocato Rita Gilioli. Tra i parenti imputati si è alzato un muro, consolidato dalle strategie difensive divergenti. Sono accorsi tutti i familiari della vittima: hanno voluto partecipare "per non lasciare solo il nostro Beppe". C’è il fratello Claudio, costituito parte civile tramite l’avvocato Naima Marconi, stretto alle sorelle Floriana e Luciana. Per un momento i loro occhi si annebbiano: "Speriamo nella giustizia".
Il pm ha passato in rassegna molti atti delle indagini svolte dai carabinieri. È stato proiettato uno spezzone dell’interrogatorio di Ghilardini dove lei sosteneva che questo piano le era stato imposto. "Ma lei non ha mai saputo spiegare perché sarebbe stata succube", ha ribattuto il pm. Il nipote minore, figlio della coppia, è stato ritenuto attendibile. E sono state mostrate anche foto che documentano il ritrovamento del cadavere. Marconi ha chiesto un risarcimento di 102mila euro per danno da morte parentale, rimarcando la prostrazione in cui questa vicenda ha gettato il fratello. "Sono infondate e infamanti – ha detto – le dichiarazioni fatte dalla coppia secondo cui i parenti ricevevano soldi dalla vittima. Erano molto legati al loro congiunto, la cui scomparsa ha provocato una profonda sofferenza".
D’Andrea ha chiesto l’assoluzione per le accuse più gravi; di riqualificare la soppressione di cadavere in occultamento; per la truffa di convertirla in indebita percezione di erogazioni dallo Stato e di assolverli perché l’importo prelevato dalla figlia, 2mila euro, è inferiore ai 4mila. In subordine, in caso di condanna, il minimo della pena per incensuratezza. Gilioli ha domandato per la vedova il non luogo a procedere, ritenendo che manchi il movente: "Lei è proprietaria dei terreni e percepisce una pensione, non aveva interesse per quella del marito. Non tutti riescono a ribellarsi ai propri familiari che sono contro". Giovedì prossimo sono fissate le repliche, poi la sentenza.