Casalgrande Alto (Reggio Emilia), 10 dicembre 2023 – La premessa è che non sono una minaccia, l’obiettivo è quello di preservare la fede dei padri. Dopo un silenzio durato due anni, il sacerdote Claudio Crescimanno vuole chiarire la sua posizione. Una chiarificazione scaturita anche dall’ultimo divieto di esercitare qualsiasi attività ministeriale disposto dalla curia, nei suoi confronti e del sacerdote Andrea Maccabiani. L’ultimo divieto disposto dal vescovo monsignor Giacomo Morandi risale a ottobre.
Cosa significa questo provvedimento per lei e don Maccabiani?
"È il quarto che la diocesi di Reggio Emilia fa nei nostri confronti in due anni e di fatto non c’è nulla di nuovo; rivediamo una cosa già accaduta e per la quale abbiamo già tentato di fornire delle giustificazioni. Ci piacerebbe che questi nostri tentativi avessero un riscontro… Dai pochi contatti che ho avuto, da parte di monsignor Morandi potrebbe esserci anche una disponibilità nei nostri confronti, non credo che in lui ci sia un atteggiamento ostile. Certo, le cose sono andate avanti, rendendo la situazione sempre più difficile. Ma io credo che il problema ci sia stato in partenza".
Ci spieghi.
"A metà giugno di due anni fa, prima ancora di qualunque inizio di attività in questo luogo, abbiamo chiesto un incontro con la diocesi. La richiesta non ha avuto risposta fino al settembre seguente, al fronte della quale era stata fornita una risposta breve e vaga: non c’erano sufficienti informazioni per capire chi eravamo e cosa facevamo. L’autunno è passato con lo scambio di qualche email, alla fine ci fu dato un primo appuntamento, che per un impegno improrogabile abbiamo chiesto di rimandare di qualche giorno. Poi, il 6 dicembre seguente ci siamo ritrovati su tutti i giornali. In precedenza però ci era stato comunicato da parte di autorità competenti nell’ambito ecclesiastico che una soluzione si sarebbe trovata, a fronte di questo eravamo tranquilli".
Proseguendo in questa direzione ha operato uno strappo con la diocesi.
"Lo capisco. I rapporti potevano diventare più difficili, è vero, ma potevano anche subire un’accelerazione in positivo".
Dopo il recente provvedimento avete chiesto un incontro con la diocesi?
"Sì e diciamo che c’è stato un inizio di dialogo".
Come con la diocesi reggiana, è entrato in collisione anche con quella Eugubina, violando le indicazioni della Santa Sede… Perché?
"Nella Chiesa è in atto una crisi che pure la Suprema Autorità della Chiesa, il Papato e i pronunciamenti della Santa Sede riconoscono. È una crisi liturgica, dottrinale e spirituale ed è evidente perché i seminari, i conventi e le chiese sono vuoti. Di fatto, la condizione minoritaria del cattolicesimo è sotto gli occhi di tutti. C’è chi ritiene che le cose così vadano bene, ma c’è anche chi si è reso conto che in questa direzione la fede cristiana verrà snaturata".
La vostra Comunità è fra questi ultimi?
"Sì. Siamo una realtà minuscola all’interno di un mondo definito ’tradizionalista’ ma che in realtà ha un solo scopo: conservare la fede dei nostri padri. Come noi, ci sono tante altre realtà nate molto prima".
La diocesi nei vostri confronti però continua ad emanare divieti.
"Non ne farei una questione della diocesi reggiana, dove l’atteggiamento di Monsignor Morandi nell’insieme risulta essere moderato, è una questione generale. Di fatto è un intralcio che all’interno della Chiesa Universale, che ha deciso di prendere altre strade, ci siano una miriade di piccole comunità. La domanda invece è una sola: Cosa c’è da temere da piccole realtà come la nostra, che hanno scarse quantità di mezzi, non hanno agganci di potere e non hanno possibilità di influenza? Nel nostro caso abbiamo un’azienda agricola con le capre, le galline, le oche e viviamo ‘galleggiando’ con le offerte dei fedeli".
Lei si è autoproclamato lefebvriano. Così si è posto fuori dall’ortodossia cattolica?
"Siamo fedeli dell’unica Chiesa e riconosciamo l’unica gerarchia ecclesiastica possibile dalla Chiesa. Non c’è una gerarchia o una chiesa alternativa alla chiesa cattolica, semplicemente condividiamo l’analisi critica del vescovo francese Lefebvre per quello che riguarda la situazione di questi 50 anni".
Come siete arrivati a costruire la comunità di Sant’Isidoro?
"Io e don Andrea siamo arrivati a Casalgrande Alto per condurre una vita ritirata. Le persone sono venute a chiederci aiuto nella vita spirituale e le abbiamo accolte. Alcune sono rimaste, altre sono andate via, oggi siamo poco più di un centinaio. È nata una forte collaborazione nell’attività agricola, formativa e culturale. Da queste famiglie è arrivata poi la richiesta di gestire una scuola parentale per i loro ragazzi, usufruendo degli spazi che mettiamo loro a disposizione".
Se la crepa con la diocesi dovesse definitivamente rompersi, cosa farete?
"Ci auguriamo che questo non succeda".