
Rossena non è stata solo teatro di importanti vicende medievali, ma nel 1951 ospitò le riunioni che sancirono lo scioglimento della corrente dossettiana della Democrazia Cristiana, con il costituente e statista originario di Cavriago che rompe con compagni come Amintore Fanfani, per poi lasciare il parlamento e seguire la propria vocazione spirituale.
Ed è proprio "Dossetti a Rossena" il titolo della lectio magistralis del professor Enrico Galavotti (Università di Chieti-Pescara) che oggi alle 16,45, nel castello di Rossena, aprirà il workshop annuale del Dottorato nazionale in studi religiosi dell’Università di Modena e Reggio. Saranno presenti numerosi politici, oltre ai dottorandi che poi parteciperanno ad altri incontri in luoghi reggiani significativi: dal Palazzo dei Musei, alla Sala del Tricolore, dal Centro Loris Malaguzzi al Museo Diocesano.
Professor Galavotti, Dossetti fu partigiano e costituente, parlamentare Dc e promotore di studi religiosi, tra i motori del Concilio Vaticano II e monaco, ed infine nel 1994 anima dei Comitati per la difesa della Costituzione. Quale è il fil rouge di questo impegno?
"È la "Riforma", una parola da prendere sul serio ma anche tra le più violentate... tant’è che oggi si parla di "riforme" in relazione ai tagli allo Stato sociale. Dossetti, in tutte le stagioni della sua vita, intese promuovere riforme per un presente ed un futuro migliore per tutti, non solo per la sua parte".
Perché decise nel 1951-’53 di sciogliere la sua corrente?
"Lascia la politica - iniziando una fase di ricerca con alcuni giovani laici, e fondando l’Istituto di scienze religiose a Bologna -, perché certi spazi di riforme si chiudono a inizio anni ’50, quando il sistema di potere si cristallizza. Ciò che lui vuol realizzare, non si può fare con il "partito della nazione", la Dc. Di contro pensa che le vere urgenze siano altrove: lavorare per una Riforma della Chiesa che allora era dominata da Pio XII e in cui Luigi Gedda (Azione cattolica) faceva il bello e il cattivo tempo.
Oltre nella Costituzione, dove ricercare la sua eredità politica?
"Si impegnò per far nascere la Cassa del Mezzogiorno, e prima ancora perché la forma di Stato fosse quella repubblicana che a suo avviso più garantiva maggior progresso per il Paese. La sua sensibilità sociale non era molto diffusa".
Il suo ruolo nel Concilio?
"Si mette a studiare la storia dei Concilii, poi nel 1958 muore Pio XII e viene eletto un nuovo papa, l’anziano Giovanni XXIII, che a sorpresa accetta l’idea d’un nuovo Concilio. Una delle preoccupazioni maggiori di Dossetti è il tema della Chiesa dei Poveri, che però non decolla. Ma nel 2013, papa Francesco ne ha fatto l’asse del suo pontificato…".
Dossetti ebbe dunque uno sguardo profetico?
"Sì, nel senso di capacità di sapere dove si è, di saper leggere il mondo ed i veri problemi al di là delle apparenze".
Perché scelse il monachesimo, e poi nel 1994 tornò in politica? *
"Divenne monaco quando la Cei era dominata dal cardinal Ruini… Mentre nel 1994 osservò uno slittamento importante: l’elezione per la prima volta di una coalizione di forze politiche non avevano partecipato alla stesura della Costituzione e non si sentivano molto impegnate a rispettarla. Non che Dossetti fosse contrario a riformare la Carta attraverso il mandato popolare e una Costituente, ma - dato che era nata dalla tragedia della II Guerra Mondiale - non voleva che fossero alterati alcuni equilibri da una sola parte politica.
Francesca Chilloni