Erbazzone Igp? Si può fare Pronti gli atti in Regione

Le associazioni stanno dibattendo sulla ricetta da adottare nel disciplinare. Nel 2009 venne contestato il nome, ma ora le regole sono meno stringenti

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di Daniele Petrone

L’Erbazzone – sì, con la ‘E’ maiuscola – punta a diventare un prodotto agroalimentare a marchio Igp. Il percorso è stato già avviato da Comune e Regione, al fianco del comitato promotore (per legge deve essere formato da aziende e non da enti istituzionali) costituito da sei imprese produttrici di Erbazzone. L’obiettivo è ottenere il riconoscimento di ‘Indicazione Geografica Protetta’ attribuito dall’Unione Europea. Il ‘Re’ delle torte salate reggiane entrerebbe così nel novero del prestigioso elenco, di cui l’Emilia-Romagna detiene il record con 44 certificazioni (su 290 in tutta Italia, regina incontrastata del Vecchio Continente) tra Igp e Dop. E andrebbe ad arricchire pure le eccellenze di Reggio e provincia che al momento sono solo l’anguria tra le Igp, Parmigiano Reggiano e Aceto Balsamico Tradizionale (in condivisione con Modena) tra le denominazioni d’origine protette.

Un iter lungo, complesso e non scontato. Già nel 2009 ci fu una prima proposta però rigettata dal Ministero delle Politiche Agricole. Che valutò il dossier inadeguato e insufficiente. In particolare si eccepì sulle incongruenze del nome: "Non sono dimostrati né i 25 anni di produzione del prodotto né l’uso consolidato del nome ‘Erbazzone’ per la quale si richiede la registrazione, viste le denominazioni ‘scarpasoun’ e ‘mozzaroun’", recitavano le motivazioni. Dodici anni fa però i criteri ministeriali di selezione erano più stringenti. Negli ultimi anni c’è stata un’evoluzione di approccio e valutazione. Ecco perché Reggio ci riprova.

Già nel 2019 i produttori chiesero di recuperare il percorso, poi la pandemia ha messo tutto in stand-by. Ma negli ultimi mesi si è aperto il tavolo. A sostenere i produttori ci sono Regione e Comune (che ha messo in campo anche la partecipata Crpa, centro ricerche produzioni animali e che ha coinvolto pure associazioni di categoria e dei panificatori). "Il ruolo dell’Amministrazione – illustra l’assessore al commercio di Reggio, Mariafrancesca Sidoli – si conferma quello di progettare la valorizzazione dell’enogastronomia tipica e tradizionale locale. E di conseguenza delle imprese, dei ristoratori e delle associazioni. Nel solco anche del progetto del marchio DeCo (prodotto di denominazione comunale, ndr) presentato di recente. Il riconoscimento Igp dell’Erbazzone darebbe anche una spinta a livello di turismo, oltre ad aprire nuove opportunità per la città". Ci vorrà un annetto per presentare la documentazione a Roma, ma si entra già nel vivo. Dopo l’ultimo incontro di due settimane fa, le parti si aggiorneranno a fine luglio per una prima bozza di ‘disciplinare’ che redigeranno i produttori (che potrebbero confluire in un consorzio ad hoc). Il regolamento di produzione è cruciale oltre ai documenti storici che comprovino il legame del prodotto col territorio. Quale sarà la ricetta? Due le versioni che si distinguono (ce ne sarebbe una terza, ossìa lo ‘scarpasot’ diffuso, ma non troppo, nelle zone di Correggio dove viene fritto e non cotto al forno): l’Erbazzone classico reggiano e lo ‘scarpasoun’ – lo scarpazzone di montagna – che aggiunge il riso a spinaci e bietole. Ma un compromesso si può trovare. "Il disciplinare della piadina romagnola – spiega l’assessore regionale all’agricoltura, Alessio Mammi – prevede due varianti ad esempio: la sfoglia più sottile diffusa nel riminese e quella più alta nel ravennate, forlivese e cesenate. Non devono esserci divergenze abissali però su modalità di preparazione e conservazione. Dovremo essere attenti anche dal punto di vista giuridico, ricordo che un’azienda privata fece ricorso sulla denominazione ‘Piadina’. Lavoreremo per l’Erbazzone Igp e ci puntiamo molto".