Gianluca Ghinazzi: "La disabilità non mi ferma: studierò negli Usa"

Il coraggio del 19enne reggiano, neo-diplomato: "Ho capito che la mia autonomia viene prima di tutto. Mi hanno scelto tre college"

Gianluca Ghinazzi sta concludendo i 5 anni al Liceo Spallanzani

Gianluca Ghinazzi sta concludendo i 5 anni al Liceo Spallanzani

Reggio Emilia, 30 giugno 2022 - Una storia di coraggio e desiderio di avventura, i cui capitoli iniziano a Reggio per arrivare negli Stati Uniti. Gianluca Ghinazzi sta sostenendo l’esame di maturità al liceo Spallanzani, è un ragazzo con disabilità ma non per questo vuole rinunciare al suo futuro. Dopo l’anno scolastico all’estero in Michigan, da settembre 2020 a giugno 2021, Gianluca ha infatti capito di potercela fare anche da solo e che non sarà certo la sua malattia ad ostacolare il suo sogno più grande: studiare al college in America.

"Sono Gianluca, ho 19 anni e una paralisi celebrale infantile, una disabilità che danneggia principalmente l’equilibro e la voce. Sono nato così. Ed è stata fin da subito una rottura ma ci devo convivere; andare in giro e vedere gente che mi fissa stranita non è granché. Tuttavia questa situazione mi ha aiutato a sviluppare sensibilità e voglia di fare. Non sono felice del mio fisico ma lo sono di ciò che sono dentro".

La disabilità però non ti ha fermato.

"Sono riuscito a realizzare tantissimi traguardi e sarò sempre molto grato per questo. Ho frequentato un liceo scientifico e in prima superiore mi sono iscritto ad un programma scolastico online americano di quattro anni, con il quale otterrò anche un diploma superiore statunitense. Da ultimo, ho potuto vivere un altro importante sogno che avevo fin da piccolo: l’anno all’estero negli USA".

Come mai proprio negli Usa?

"Ne sono sempre stato affascinato perché da bambino guardavo tantissimi film americani polizieschi e mi dicevo ‘Wow, sono bravi questi!’. Ero fissato in particolare con un film in cui un ragazzo genio del computer veniva ammesso all’Mit e il me undicenne voleva essere assolutamente come lui. Crescendo ho capito che come università è quasi impossibile da raggiungere e in ogni caso non voglio solo prendere buoni voti ma anche vivere e fare cavolate".

Qual è stata la reazione della tua famiglia all’idea di partire per l’anno all’estero?

"I miei genitori mi sono sempre stati vicino in qualsiasi cosa, perché hanno sempre spinto per la mia autonomia. Per la quarta all’estero mi avevano detto che dovevo essere io a scegliere se andare o meno, anche se trovare una famiglia che ospitasse un ragazzo disabile era molto difficile. Con la pandemia in corso poi avevo perso ogni speranza. Ad agosto, invece, ho ricevuto una chiamata inaspettata: una signora in Michigan aveva accettato di prendermi con sé. Mi sono detto ‘Chi è quell’americano che in mezzo ad una pandemia prende in casa un disabile? Sarà un pazzo’. E invece è stato meraviglioso, io e questa signora di 82 anni siamo diventati una coppia formidabile e mi ha portato a vedere tantissimi posti".

Come ti sei trovato negli Usa?

"Mi è pi aciuto moltissimo il loro approccio alla disabilità, più aperta. In Italia siamo più concentrati a capire cosa non puoi fare, anziché metterci alla prova. Là, se la tua testa funziona, devi essere tu a dire che hai bisogno ma per il resto ti lasciano provare. Non sono menefreghisti ma ti danno più possibilità. Ovviamente non voglio dire che l’Italia sia sbagliata, perché alcuni disabili si sentono più a loro agio con questo approccio ‘materno’ e protettivo".

Cosa è cambiato quando sei tornato?

"Ho capito chi sono davvero e cosa posso fare realmente. Finché sei vicino a casa tutti ti conoscono e sono apprensivi e si preoccupano per te, ma quando vai dall’altra parte del mondo non è più così. Ho compreso meglio la mia disabilità: sono riuscito persino a fare sport che prima era infattibile. Ero nel team di bowling della scuola; un giorno ho ricevuto un messaggio da un compagno: ‘Ci serve un atleta’ e mi sono buttato. Una cosa che sarebbe potuta succedere solo lì perché a casa avevo molte più paure".

Qual è stato invece il tuo percorso per l’iscrizione al college?

"Quando sono tornato dall’anno all’estero sono andato dalla vicepreside dello Spallanzani per spiegarle il mio sogno. Le ho chiesto se ci fosse un insegnante disposto ad aiutarmi nel processo di iscrizione. Ed è così che ho iniziato questa nuova avventura affiancato dalla professoressa Elisabetta Sartori, alla quale sarò grato per sempre. Anche la scuola mi ha aiutato tanto, perché in poco tempo mi faceva avere tutti i documenti di cui avevo bisogno. In America, infatti, ti chiedono tutte le pagelle delle superiori, la lettera di raccomandazione e una presentazione personale. Ho dovuto scrivere un sacco di temi, rispondendo alle domande più disparate. All’inizio volevo mollare, pensavo di avere davanti un muro invalicabile ma poi mi sono detto che avevo le capacità per farlo".

A quali università hai fatto domanda?

"Le ho provate tutte, ben quindici! A inizio marzo mi è arrivata la prima risposta: un sì dalla Virginia! Ad aprile avevo quattro college con ottimo ranking nazionale pronte ad accettarmi. Virginia, New York, New Jersey e Michigan; per quest’ultima mi sono quasi commosso perché avrebbe significato tornare a casa. Sono stato combattuto fino alla fine ma poi ho accettato il posto in Virginia perché c’è il corso di Criminologia che desidero frequentare da sempre".

Hai paura per il futuro?

"Dalla prima ammissione è partita una riflessione; subito non l’ho detto a nessuno perché volevo maturare la notizia nella mia testa. I miei genitori sono carichi, io ancora di più perché vivere da solo è un altro sogno di vita. Tutta la mia vita è stata una lotta per l’autonomia, a volte mi sono sentito in gabbia e credo che allontanarmi dalla mia comfort zone sia una buona scelta".

Cosa diresti ad altri ragazzi con disabilità?

"Provate, non abbiate paura del fallimento. E anche se succedesse, a chi importa? Se non provi non ottieni nulla. Dovete uscire, cadere e rischiare, se ovviamente si ha la possibilità di farlo. Il futuro è nostro e non di chi ci sta dietro".

Maya Menozzi