Spese legali, Reggio Emilia fa scuola. Il giudice decide chi le paga

Nelle cause civili chi perde, se parte debole, può ottenere il denaro versato per sostenere il processo

Elena Vezzosi

Elena Vezzosi

Reggio Emilia, 13 luglio 2018 - L’avevano messa sul piano dei soldi. Per ridurre il contenzioso di cause civili, quattro anni fa il governo, con un decreto legge convertito in legge, era intervenuto pesantemente sulle spese di giustizia: le tasche della gente, il miglior deterrente. Fino ad allora, infatti, per «gravi ed eccezionali ragioni» il giudice faceva compensare le spese di giustizia, se a perdere era stata la parte debole che si era rivolta alla giustizia per far valere in buona fede le proprie ragioni. Ognuno pagasse il suo avvocato, il soccombente non dovesse rifondere le spese alla controparte: specie se dall’altra parte c’era un datore di lavoro con disponibilità economiche enormemente superiori. La legge però quattro anni fa cancellò con quel colpo di spugna l’espressione «gravi ed eccezionali ragioni» per compensare le spese: mai più poteri discrezionali nel merito al giudice. E così tanti che pensavano di andare dall’avvocato ritenendosi vittime di soprusi, a quel punto avrebbero evitato di avventurarsi in tribunale, temendo di dover sborsare un sacco di soldi: il danno e la beffa.

Colpo di scena. Da Reggio, Elvira Rasulova, donna manager di origine russa in Italia da 21 anni, cittadina italiana, e la giudice del lavoro Elena Vezzosi, hanno ottenuto che la Corte costituzionale dichiarasse l’incostituzionalità di parte di quella legge. Tenacia (della manager che ha perso quel lavoro) e professionalità (del giudice e dello studio legale associato Piccinini di Bologna che ha assistito la Rasulova) hanno fatto sì che la frase «per gravi ed eccezionali motivi» tornasse al proprio posto. Riaffidando al giudice il potere di decidere quand’è il caso di compensare le spese di giustizia. La sentenza è recentissima: ritiene che quella legge, sul punto, toccasse la Costituzione.

Il caso arrivato alla Consulta risale a tre anni fa. La manager aveva impugnato il suo licenziamento, intimatole dalla Italservizi (ora Agriservice Modena in liquidazione), ritenendolo nullo, illegittimo o inefficace. Rasulova aveva chiamato in causa anche Burani Interfood e Servizi Commerciali Integrati, «affermando – si legge nell’ordinanza del giudice Vezzosi – l’esistenza di un unico centro di imputazione giuridica e/o gruppo di imprese e la contemporanea utilizzazione della propria prestazione lavorativa da parte di tutti i convenuti, sicchè l’intervenuto licenziamento era da porre nel nulla nei confronti di ognuno dei soggetti in causa». La Burani Interfood si era costituita eccependo l’inammissibilità del ricorso proposto col rito Fornero, «essendo intervenuta da parte di Agriservice Modena la revoca del licenziamento.

NON PIÙ licenziata dunque (anche se rimasta senza lavoro con la messa in liquidazione dell’azienda). Di qui l’inammissibilità del ricorso, stabilita dal giudice che però condannava la manager alle sole spese sostenute da Agriservice in liquidazione compensando invece le spese sostenute dalle altre parti. Si è opposta Burani Interfood, rilevando la mancanza dei pressupposti per la liquidazione spese della prima fase del giudizio e la mancanza di motivazione riguardo alla compensazione per le altre parti, censurando la disparità di trattamento rispetto alla Agriservice. La lavoratrice, assistita dai legali dello studio Piccinini (avvocati Mara Congeduti, Alberto Piccinini e Antonio Monachetti), ha sollevato eccezione di incostituzionalità» davanti al giudice del lavoro, con riferimento al decreto legge sulla compensazione delle spese di giustizia. E la Consulta ha dato ragione alla manager e al giudice. Ora è in corso un’ulteriore causa civile legata al licenziamento.

m.s.