Reggio Emilia è il quinto comune per incremento della superficie consumata (terzo tra i comuni con più di 100.000 abitanti) che con +43 ettari supera la soglia dei 40 ettari. È stata presentata ieri a Roma l’undicesima edizione del Rapporto ’Consumo di suolo, dinamiche territoriali e ambienti ecosistemici’ che analizza i processi di trasformazione del territorio legati al consumo di suolo: "Il fenomeno rallenta, ma rimane elevato – cita il rapporto – perdiamo 20 ettari ogni 24 ore, un dato altamente sopra la media decennale". I dati che escono da questo Rapporto non sono affatto incoraggianti.
Il consumo di suolo continua a trasformare il nostro Paese con velocità elevate, nell’ultimo anno l’Italia ha perso suolo al ritmo di 2,3 metri quadrati ogni secondo. Una crescita delle superfici artificiali solo in piccola parte compensata dal ripristino di aree naturali, pari a poco più di 8 chilometri quadrati, dovuti al passaggio da suolo consumato a suolo non consumato (nella maggior parte dei casi grazie al recupero di aree di cantiere o di superfici che erano state già classificate come consumo di suolo reversibile e, solo in piccolissima parte, per azioni di de-impermeabilizzazione). La conseguenza è che meno di un terzo della popolazione urbana riesce a raggiungere un’area verde pubblica di almeno mezzo ettaro entro 300 metri a piedi. Provare per credere.
Questo rapporto sembra arrivare proprio in tempo per essere inserito nel dibattito che da giorni sta interessando il futuro del bosco urbano di Ospizio, destinato ad essere abbattuto per fare posto a un supermercato Conad, alla nuova biblioteca, il centro sociale e il polo della salute. Il quinto posto a livello nazionale e il secondo regionale (in mezzo tra Ravenna e Forlì) di Reggio non è certo un segnale positivo per una città che cerca di mostrarsi attenta al consumo di suolo. Perché non è il ’solo’ consumo di suolo. La perdita dei servizi ecosistemici legata al consumo di suolo è un problema ambientale, ma anche economico: nel 2023 la riduzione del cosiddetto effetto spugna, ossia la capacità del terreno di assorbire e trattenere l’acqua e regolare il ciclo idrologico, secondo le stime, costa al Paese oltre 400 milioni di euro all’anno. Un caro suolo che si affianca agli altri costi causati dalla perdita dei servizi ecosistemici dovuti alla diminuzione della qualità dell’habitat, alla perdita della produzione agricola, allo stoccaggio di carbonio o alla regolazione del clima.
Ad onore del vero occorre dire che le trasformazioni da suolo naturale ad artificiale aumentate nella nostra città sono legate principalmente ai cantieri per la realizzazione della Ss9 e ai lavori di riqualificazione del parco della Reggia Ducale di Rivalta, con aree temporaneamente consumate e che in previsione verranno ri-naturalizzate. Di questo il Rapporto Ispra ne ha tenuto conto, ma la tendenza degli ultimi periodi (i Rapporti escono annualmente) era sicuramente di incremento della superficie consumata.
Il dato negativo di Reggio, Ravenna e Forlì si ripercuote anche sulla regione che si posiziona al quarto posto dopo Lombardia, Veneto e Campania insieme a Puglia e Lazio, Friuli Venezia Giulia e Liguria, regioni i cui valori sono sopra la media nazionale e compresi tra il 7 e il 9%. Dispiace constatare che proprio nelle aree soggette a rischio idrogeologico, come la nostra, il consumo di suolo continua a crescere, contribuendo ad aumentare la fragilità del territorio e il rischio per la popolazione. La domanda rimane sempre quella lanciata dal filosofo e professore Telmo Pievani: "Cosa stiamo aspettando per cambiare la nostra vita e quella delle generazioni future?"
Monica Rossi