"I medici oggi hanno bisogni diversi Serve più conciliazione vita-lavoro"

Sulla carenza di dipendenti influisce anche la scelta dei futuri professionisti sul percorso di specializzazione. Raso (Anaao): "Il 70% del personale è femminile, difficile trovare un equilibrio gestendo anche la famiglia"

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di Giulia Beneventi

Tra pronto soccorso ancora chiusi e liste d’attesa infinite per esami e visite, sono tanti i fattori che influiscono sulla carenza di personale nella sanità pubblica. Alcuni si individuano già a monte, nella scelta della specializzazione dopo la laurea in medicina: una decisione che, a valle, porta poi a non avere ricambio generazionale sufficiente in alcuni settore (emergenza-urgenza, per citarne uno).

"Non è un problema di vocazione, soprattutto se parliamo di giovani che hanno ben undici anni - nella migliore delle ipotesi - di studio sulle spalle – considera Maria Gabriella Raso, referente Anaao Giovani nella segreteria azienda Usl di Reggio –. Per arrivare in fondo al percorso formativo in medicina devi essere molto motivato, tra sacrifici sia nella sfera personale che economica. Lo dico perché si parla anche di abolire il numero chiuso per risolvere il problema della carenza di personale: invito a riflettere sul fatto che per avere uno specialista serve comunque molto tempo, in media appunto 11 anni".

Come e quanto è cambiato lo scenario?

"Quando mi sono laureata io, il problema era riuscire a entrare in specialità, per via dei tagli e dei pochi posti disponibili. Cosa che paghiamo anche adesso".

Ora invece?

"Oggi un neolaureato ha un’offerta più ampia di posti, ma abbiamo notato che chi si appresta a scegliere la specializzazione è consapevole della crisi in cui si trova la sanità pubblica, quindi piuttosto il problema diventa assicurarsi un futuro con una vita lavorativa che lasci spazio anche a quella privata".

In che modo?

"Vengono scelti più frequentemente indirizzi specialistici spendibili nella libera professione, come oculistica, gastroenterologia, dermatologia. Quando lavori nell’area emergenza urgenza, dalle 8 alle 10 ore al giorno, la libera professione non è più un’opzione. Motivo per cui tanti under40 sempre più spesso preferiscono il privato al pubblico".

Una novità, possiamo dire.

"Sono cambiate le esigenze del medico. Non parlo solo sotto un profilo generazionale, ma anche di genere: oggi il 70% del personale sanitario nazionale è donna. E le donne medico svolgono un duplice mestiere, la cura dei pazienti da un lato e dall’altro la cura della famiglia. Io lo posso assicurare".

In che senso?

"Essere anestesista e madre di due figli, con un marito medico turnista, è molto difficile. Se si considerano questi fattori, allora sì che si capisce perché le giovani dottoresse ora, appena possono, scelgono una specializzazione che permetta loro di lavorare e crescere i figli. Ci si specializza attorno ai 33 anni ed è un momento in cui spesso si inizia a progettare di avere una famiglia. Il privato, dal canto suo, non ha le notti, le guardie, le reperibilità; hai i weekend liberi, i festivi a casa. Chi è nel pubblico veramente rimane perché crede nel sistema pubblico e sono professionisti che andrebbero premiati per il loro sacrificio, anche di vita".

Tanti infermieri però, con l’apertura di bandi pubblici, hanno fatto il passaggio dal privato al pubblico.

"Nel pubblico, in Emilia-Romagna, c’è quello che non è previsto nel privato: pazienti oncologici, terapie intensive, malati cronici, dialisi, anziani per cui sono previsti lunghi periodi di degenza. Il privato assicura per lo più servizi ambulatoriali e chirurgia con tempi di degenza brevi. Di fatto la sanità pubblica rappresenta lo strumento che garantisce la salute ai cittadini perché salvaguarda l’universalismo e l’equità dell’accesso alle cure".

E poi c’è il privato.

"Che è il secondo pilastro del sistema sanitario nazionale, concepito per essere complementare e integrativo rispetto al pubblico. Oltre però a offrirti un contratto che comunque ti da dei diritti in più, il pubblico ti offre la possibilità di sperimentare sul campo certe esperienze. Non tutti vogliono fare la libera professione, insomma, e in ospedale ci sono pazienti anche complicati da gestire, che hanno dei costi non solo in termini economici ma anche di gestione. Questo è ciò che del pubblico va salvaguardato".

La realtà qual è invece?

"È che le aziende continuano a essere le stesse, senza accorgersi che le figure interne sono in costante mutamento. È necessario che le aziende mettano in campo politiche di conciliazione dei tempi vita-lavoro: concessione di part-time, orari flessibili, concessioni di aspettative, creazioni di asili aziendali, favorire il congedo parentale per i padri, promuovere attività per i figli nei periodi di chiusura delle scuole e lo smart working, ove possibile. Prevenire il fenomeno del burnout (esaurimento psico-fisico che per lo più si manifesta con ansia e depressione, ndr) dei dipendenti per eccessivo carico di lavoro. Bisogna comprendere, fino in fondo, che il medico oggigiorno non guarda più solo allo stipendio, che resta un riconoscimento importante e giusto, ma anche alla qualità della propria vita".