I temi del nostro tempo nei gialli di Violi

Nata a Reggio, ha lavorato come architetto a Milano e ora vive a Treviso: "La mia città è stata come un cibo genuino e nutriente"

Migration

di Lara Maria Ferrari

A parte dei tentativi giocosi, Francesca Violi ha iniziato a scrivere a 33 anni, quando con la nascita del suo primo figlio ha smesso di lavorare nell’architettura. Ha cominciato coi racconti brevi e presto scrivere è diventato un bisogno, ma un po’ – confessa - se ne vergognava: "Mi sembrava di incarnare il cliché della neo mamma annoiata che si è trovata un passatempo velleitario. Ci ho messo un po’ ad ammettere, e a rivendicare, che volevo farne una cosa seria". Reggiana, classe 1973, laureata in Architettura al Politecnico di Milano, è autrice de L’Abbaglio, edito da Elliot, un giallo dalle venature thriller uscito quest’anno che la sta portando in giro per l’Italia.

Reggio, Milano e Treviso sono rispettivamente la città natale, quella della professione e l’approdo. Quanto hanno influenzato le sue scelte?

"Reggio, come un cibo nutriente e genuino, mi ha cresciuto; Milano, cosmopolita e stimolante, ha appagato il bisogno di ignoto e possibilità. Treviso è stata invece una scelta funzionale alle necessità familiari: ma proprio qui, lungo il fiume Sile, ho trovato le atmosfere giuste per la mia scrittura, e la storia del mio primo romanzo".

Nell’Abbaglio emerge uno di quegli argomenti che spaccano l’opinione pubblica. La disputa fra medicina tradizionale e medicina alternativa: spunto narrativo o qualcosa di più ?

"Il mio interesse per le medicine alternative è iniziato anni fa, quando i miei figli erano piccoli: sempre più spesso mi sentivo proporre pratiche alternative, dalla collanina d’ambra per alleviare i dolori della dentizione alla contrarietà ai vaccini, imputati di causare addirittura l’autismo. La medicina, come qualunque disciplina umana, è imperfetta e fallibile, ma ha anche ottenuto risultati straordinari e indiscutibili: mi colpiva molto che in tanti fossero pronti a ignorarne le evidenze per affidarsi invece a pratiche la cui efficacia non era (non è) mai stata dimostrata. Affascinata da questa contraddizione, mi sono immersa in un mondo di metodi di guarigione miracolosi per ogni possibile malattia, di regimi alimentari estremi, di energie sottili e vibrazioni; ho setacciato forum e siti alternativi, blog di debunking, inchieste, approfondimenti. Apparentemente sono questioni legate alla salute, all’alimentazione, al benessere, ma spesso si avverte in chi vi aderisce un grande investimento emotivo e identitario. Curarsi un mal di pancia in un modo anziché in un altro non è solo una scelta funzionale, ma parte di una visione del mondo. A volte questi temi innescano dibattiti pubblici eclatanti: Di Bella, Stamina o il Covid. Ma a turbarmi sono state soprattutto certe vicende individuali, di persone armate di tale fede nella loro visione del mondo da scommettere (e perdere) la propria vita, o quella di una persona cara. Un padre naturopata cura l’otite del figlio con le tisane. Una donna sceglie di partorire in casa, senza assistenza ostetrica. Una donna si lascia convincere dalla sua omeopata a trattare un melanoma con una terapia alternativa. A perseguitarmi era il pensiero della rivelazione: il momento tremendo in cui queste persone si sono rese conto dell’esito ormai irreversibile della loro scelta. Da questo germe è nato l’Abbaglio".

La sua protagonista a un certo punto passa ’al lato oscuro’. Cos’è il male e come se lo rappresenta? E come si passa da manipolata a manipolatrice?

"A volte nel corso della vita siamo così accecati dalle nostre convinzioni, dalle nostre emozioni, dai nostri desideri, che ignoriamo i segnali d’allerta e proseguiamo per la nostra strada finché ci schiantiamo contro un muro. Per quanto doloroso, lo schianto può diventare l’occasione di una nuova consapevolezza: possiamo prenderci la responsabilità dei nostri errori. Oppure, possiamo perseverare in una forma più subdola di autoinganno, e dare tutta la colpa agli altri, al sistema, al mondo; sentire che a quel punto siamo giustificati a ripagare il mondo con la stessa moneta. Per me questa è una delle manifestazioni più interessanti del male. Nel Vangelo il diavolo è chiamato ’il padre della menzogna’, e le menzogne peggiori sono quelle che diciamo a noi stessi".

Il romanzo precedente, Sulla riva, mette al centro conflitti e ambivalenze dei legami di sangue. Lei affronta temi forti. Come li sceglie?

"All’origine di una storia per me non c’è mai la scelta razionale di un tema, ma una spinta emotiva. Un episodio, un evento, un fenomeno, che smuove in me qualcosa e che poi esploro scrivendo".

Qual è la sua pratica di scrittrice?

"Credo molto nella disciplina come contrafforte della creatività. Se sto lavorando a un romanzo scrivo ogni mattina, quando i miei figli sono a scuola".

Come si passa da una progettualità tecnica alla narrativa?

"Nell’architettura e nel design i vincoli tecnici possono essere fertilissimi per la creatività; per contro anche nella scrittura c’è una innegabile componente progettuale: una storia è anche un meccanismo che deve funzionare, avere una struttura, una tensione a sorreggerla".