"Iaquinta nella cosca era fondamentale"

Processo Aemilia, le motivazioni dei giudici di secondo grado svelano il ruolo di Giuseppe, padre dell’ex campione del mondo

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di Alessandra Codeluppi

"Giuseppe Iaquinta è risultato avere un ruolo fondamentale per il sodalizio, rappresentando la figura dell’imprenditore di successo, oltreché padre di un calciatore famoso".

Non viene scalfito, nelle motivazioni del processo ‘Aemilia’ depositate dai giudici di secondo grado, il ritratto di uno degli imputati più in vista del processo di ‘ndrangheta ‘Aemilia. Per i 118 imputati la Procura generale - formata da Luciana Cicerchia, Lucia Musti e Valter Giovannini, aveva chiesto in tutto 1.092 anni di pena. Il genitore di Vincenzo Iaquinta, ex campione del mondo, è stato condannato a 13 anni per associazione mafiosa: "Consapevolmente si è prestato al sodalizio, consentendone l’infiltrazione nei settori economici e politici della zona in occasione di affari leciti o illeciti dell’associazione, talvolta anche avvantaggiandosene personalmente. Il suo apporto - scrive la Corte presieduta da Alberto Pederiali, a latere Maurizio Passarini e Giuditta Silvestrini - era funzionale a instaurare relazioni privilegiate con politici locali e con rappresentanti delle forze dell’ordine, proprio per la sua apparente estraneità a contesti criminali. La sua conoscenza delle dinamiche associative e i rischi connessi alla partecipazione lo hanno indotto a prendere precauzioni, in particolare evitare contatti telefonici diretti, ricorrendo alla frenetica attività telefonica del coimputato Alfonso Paolini, per mantenere rapporti con i sodali che avevano un ruolo di spicco".

I giudici non ritengono fondata la tesi difensiva secondo cui "la notorietà di Vincenzo comportava l’interesse di molti conterranei a vantare frequentazioni con il padre, che non riusciva a eludere i contatti con i cutresi perché sapeva che, altrimenti, se li sarebbe inimicati. Anzi - obbietta la Corte - in alcune vicende solo superficialmente banali, ma significative del suo ruolo di partecipe, non solo non eludeva in alcun modo i contatti coi calabresi, ma anzi li stimolava per risolvere questioni personali".

Proprio perché "originario di Cutro ben conosceva il fenomeno ‘ndranghetistico e nonostante ciò teneva rapporti stretti con soggetti di spicco come Nicolino Grande Aracri, Nicolino Sarcone, Romolo Villirillo, Antonio Muto e Alfonso Paolini".

I giudici rimarcano una circostanza particolare: "Nonostante la pesante accusa verso Grande Aracri, ritenuto mandante dell’omicidio del cognato di Iaquinta (Giuseppe Sorrentino, che si era avvicinato agli Arena, ndr), nell’estate 2011 Iaquinta lo invitò a pranzo a casa sua a Porto Kaleo, in presenza della propria moglie. Tale vicenda non può non avere un preciso significato: manifestare al boss un incondizionato riconoscimento del suo ruolo".

Per il figlio Vincenzo Iaquinta, condannato a due anni (l’aggravante mafiosa era caduta in primo grado), pena sospesa, per la detenzione delle armi del padre, si rileva che lui, "avvisato dal genitore del trasferimento delle armi, benché a cose fatte, nulla ha fatto per rimediare alla situazione di illiceità, concorrendo quindi con la sua condotta omissiva a integrare il reato, consentendo al padre di tenerle illegittimamente".