Il casolare abbandonato in rovina è protetto dalla Soprintendenza

Appartiene a una pensionata ultranovantenne che abita in Lombardia con alcuni parenti. Si tratta di un immobile sotto tutela, considerato di valenza storica: prima era un convento, poi un caseificio

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L’area del casolare abbandonato e in disuso da tempo, tra Viazza Reatino, Strada Reatino e via Colombo, nelle campagne di Novellara, appartiene a una pensionata ultranovantenne, da decenni trasferitasi in Lombardia, dove vive insieme a congiunti. Si tratta di un terreno agricolo di una decina di ettari, al momento incolti, in cui si trova pure il vecchio casolare, in gran parte diroccato, in cui da alcuni giorni si sono concentrate le indagini per il recupero di resti umani che dovrebbero essere di Saman Abbas. Proprio il casolare non è mai stato ristrutturato nel corso degli ultimi decenni, anche per i notevoli costi previsti da eventuali attivazioni del cantiere, considerando che si tratta di un immobile "sotto tutela", considerato di valenza storica. Pare fosse stato un convento, prima di essere recuperato come sede di caseificio. Dunque, per rimetterlo in sesto occorrerebbe attuare dei progetti autorizzati dalla competente Soprintendenza, cercando di mantenere intatte le caratteristiche storiche di quell’edificio. Il terreno su cui si trova il casolare appartiene dunque alla pensionata, così come un’altra ampia area agricola situata nella vicinanze, che però da anni è affittata all’azienda Bartoli, la stessa per cui lavorava Shabbar Abbas, padre di Saman, e gli parenti che ora si trovano in carcere, indagati per la scomparsa e l’omicidio della ragazza. Il terreno preso in affitto confina con l’area agricola in cui si trovano le serre, che sono invece di proprietà dell’azienda Bartoli. Quelle stesse serre che molti hanno imparato a conoscere per averle viste tante volte nelle foto sui giornali o nei servizi tv, quando nell’estate 2021 quella zona era stata battuta in modo incessante per le ricerche del corpo di Saman, con i cani molecolari, attrezzature speciali come l’elettromagnetofono, perfino con l’azione di "sensitivi" e di speciali droni capaci di individuare possibili alterazioni, anche minime, nel terreno, fino ai faticosissimi carotaggi che avevano impegnato decine di carabinieri, sotto le serre, a temperature rese molto elevate dal sole dei mesi più caldi dell’anno. Ivan Bartoli, titolare dell’azienda agricola, che da oltre un anno e mezzo vive il caso Saman molto da vicino, preferisce non commentare la vicenda. "Che il corpo potesse trovarsi qui vicino era un forte sospetto. Lo si è sempre immaginato", si limita a dire.

Antonio Lecci