Il fotografo del cinema "Ho fatto sorridere Tyson"

Massimo Dallaglio è stato sui grandi set americani e ha ritratto i vip per la rivista del Billionaire. "Molto più difficile scattare per il grande schermo".

Il fotografo del cinema  "Ho fatto sorridere Tyson"

Il fotografo del cinema "Ho fatto sorridere Tyson"

di Lara Maria Ferrari

Nella definizione di fotografo, Massimo Dallaglio (Reggio, 1966) ci si ritrova, sì, ma solamente se si è disposti ad allargare lo sguardo, come al cinema, includendo tante altre sfaccettature della sua personalità. Ora alla galleria San Francesco - Casa Gialla con ‘Celebrities matters’, una selezione di scatti con protagonisti attori come Denzel Washington e maghi come Uri Geller, ma anche performer e persone comuni che ha ritratto allestendo set tra Sardegna, Valle d’Aosta e Reggio con una fotografia ispirata al cinema, Dallaglio è anche direttore della fotografia e pilota di droni, iniziando il suo cammino nel 1984 come mimo teatrale nelle opere del regista Pierluigi Pizzi. Ha diretto la fotografia di ‘Hasty Decisions’, corto sul bullismo presentato a Cannes 2019, e nella mostra reggiana è marcato l’omaggio al Quentin Tarantino di ‘Grindhouse - A prova di morte’.

Le sue immagini si nutrono di cinema. Che cosa chiede alla fotografia e che cosa, ai suoi ‘attori’?

"Amo costruire le mie immagini nei minimi dettagli, per questo chiedo che vengano eseguiti i movimenti esattamente come li ho immaginati, come accade nel cinema".

Lei è un ‘divoratore di film’. Che cosa la attrae del cinema applicato alla fotografia?

"La difficoltà. Sì, perché la fotografia nel cinema è molto più complessa rispetto a quella tradizionale. Oggi mi dedico maggiormente alla produzione di audiovisivi e il mio ruolo - oltre alla regia - è spesso quello del DoP (direttore della fotografia); le lenti sono diverse da quelle fotografiche e anche le camere, sebbene digitali, non lavorano esattamente come le reflex o come le mirrorless; ma soprattutto non abbiamo più a che fare con un solo frame ma con 24 frame al secondo, che insieme alla regola dell’otturatore a 180° ci vincola a una determinata velocità per ottenere il giusto ‘motion blur’, cioè quell’effetto che dona alle immagini cinematografiche il loro tipico aspetto. Ecco, la fotografia cinematografica che amo è uno stile di fotografia che emula fotogrammi di scene di film. Ma non è solo una tecnica fotografica, è anche un tipo di narrazione che si ispira alla sceneggiatura che viene utilizzata nel cinema nella sua fase di sviluppo della produzione. E poi c’è tutta la parte della luce. Ma questa è un’altra storia…".

Alla Casa Gialla vediamo quattro sezioni ognuna differentemente legata al mezzo cinematografico. Ma un nucleo presenta tagli verticali: perché?

"Sì è vero, si riferisce alla sezione dedicata ai maghi, gli illusionisti come Franz Harary, the Great Tomsoni, Ed Alonzo e Silvan, che ritrassi per Vanity Fair a Saint Vincent durante la prima edizione del Master of Magic alla quale accettò di partecipare Uri Geller, mentalista famoso per la sua capacità di piegare cucchiai e forchette. Il formato verticale fu una scelta del committente, vincolato alla verticalità. Mentre io prediligo l’orizzontalità, soprattutto in ragione della natura del nostro sguardo, che abbraccia un campo orizzontale. Lo stesso della visione cinematografica".

E’ stato fra i fotografi del Billionaire. Com’era l’approccio con le celebrities?

"Dal 2004 al 2006 sono stato l’unico fotografo incaricato di ritrarre le star che Briatore chiamava a Porto Cervo. Le foto poi venivano pubblicate nel Billionaire magazine. Lavoravo insieme alla direttrice Alessandra Cicogna, che intervistava le star. Non era semplice perché essendo vip in vacanza il lavoro non era pianificabile. Ci veniva detto che in zona c’era il tal personaggio, e occorreva stare pronti… tutto era da improvvisare a seconda dei loro capricci o stramberie. Apparivano a sorpresa, spesso a notte fonda circondati da guardie del corpo… e quello era il primo step: occorreva parlare con i body guard e poi approcciare il vip, che accompagnavo sulla terrazza dove avevo i miei flash, oppure mi inventavo qualcosa per spiegare che non ero un paparazzo".

E’ riuscito a far sorridere Mike Tyson…

"L’ho approcciato dandogli la mia macchina fotografica e chiedendo di farmi una foto. Era divertito".

Fotografo, videomaker e direttore della fotografia. Questa mostra rappresenta il ponte verso un altro impegno?

"Insieme al mio editor Francesco Mantovani e al mio copy Francesco Gerardi, sto terminando il montaggio di un impegnativo docufilm dedicato ai misteri e alle leggende della Pietra di Bismantova, che si propone di svelare quattro aspetti sconosciuti di questo nostro simbolo, che più che identitario amo definire totemico. Inoltre, con l’amico Paolo Saccani ho fondato una società di produzione cinematografica, MangustaFilm Srl, con la quale stiamo selezionando soggetti e sviluppando sceneggiature. Stiamo sviluppando alcuni cortometraggi destinati a concorsi internazionali, di cui non posso svelare ancora nulla. Però ci tengo a dire che in ambito locale stiamo lavorando a una serie di audiovisivi dal sapore cinematografico legati a importanti luoghi storici della nostra regione. Ed è proprio in questo ambito che ritengo ci sia tanto da fare. Abbiamo l’oro sotto i nostri piedi e non lo sappiamo vedere!".