"Il nipote del boss acquisì un ruolo apicale nella cosca"

Le motivazioni dei giudici d’Appello sulla condanna di Salvatore Grande Aracri "Aveva la gestione occulta dei locali notturni Italghisa e Los Angeles"

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di Alessandra Codeluppi

"Risulta provato oltre ogni ragionevole dubbio che Salvatore Grande Aracri faceva parte della cosca, nella quale acquisì, soprattutto dopo l’arresto di Alfonso Diletto nell’operazione ‘Aemilia’, un ruolo apicale, a partire dal 2015". Lo scrivono i giudici della Corte d’Appello nelle motivazioni della sentenza del processo di ‘ndrangheta ‘Grimilde’, col rito abbreviato: il 42enne residente a Brescello, nipote del boss di Cutro Nicolino Grande Aracri, è stato condannato per associazione mafiosa a 14 anni e mezzo (in primo grado 20 anni). La difesa, affidata all’avvocato Giuseppe Migale Ranieri, subito dopo il verdetto del 18 giugno aveva rigettato: "Grande Aracri non fa parte dell’associazione mafiosa. Lotteremo per far emergere la verità". La Corte elenca molteplici elementi. Innanzitutto "la gestione occulta di società intrinsecamente mafiose come C-projet, Matilda e Monreale", ovvero quelle collegate alle discoteche Italghisa a Reggio (la prima) e Los Angeles a Bergonzano (le altre due). Locali che "erano il bastione di potenza della cosca, finanziati – si legge – con denaro della consorteria in un contesto che vedeva Salvatore in posizione sovraordinata".

Si cita "un episodio di rilievo" avvenuto nel 2008, ovvero la trasferta fatta da Salvatore a Cutro, mentre gli zii Nicolino ed Ernesto Grande Aracri erano detenuti, dopo l’incendio dei mezzi di Antonio Colacino, cognato di Romolo Villirillo: "Questo fatto rende evidente come Salvatore già allora fosse a tutti gli effetti un membro del sodalizio". Altra "conferma" viene indicata nella storia della vigna Dogarina di Treviso (furono sottratte tonnellate di vino ma i conti non pagati) per un recupero crediti per la cosca: "Lo dobbiamo impaurire perché altrimenti questo qua scappa", dice Grande Aracri intercettato. E così per la truffa da oltre due milioni al ministero delle Infrastrutture, soldi finiti sul conto dell’azienda Oppido di Cadelbosco. "Grande Aracri partecipò a un pranzo in rappresentanza di Diletto al ristorante ‘Antichi sapori’ di Pasquale Brescia". Poi si cita la ricerca, durante la guerra di ‘ndrangheta, delle macchine blindate per Ernesto Grande Aracri, nel 2004: undici anni dopo Salvatore passò davanti alla concessionaria ricordando "il servizio delle auto blindate". L’affare della riseria Roncaia di Castelbelforte (Mn), azienda in difficoltà finita nelle mani della cosca, vede poi Salvatore "non più come solo sodale, ma come membro apicale". Nelle motivazioni si spiega anche perché la Corte abbia dato una lettura divergente da quella ipotizzata dall’accusa sul ruolo di tre persone. Secondo la Dda, i fratelli Riccardo e Claudio Roncaia di Mantova, oltre a Massimo Scotti di Pavia – legato alla famiglia che gestisce la nota marca di riso – erano parti offese. Ma il tribunale ha restituito gli atti alla Procura, sostenendo che si possa ravvisare per loro il"concorso esterno" alla mafia: "Di tale progetto la Corte ritiene che i Roncaia e Scotti non fossero le vittime, ma possano configurarsi come complici, poiché i vantaggi che conseguivano erano frutto di una consapevole e volontaria adesione".