"Il nostro corpo è un territorio da esplorare"

Nuovi progetti e libri per la fotografa Alessandra Calò, che è stata invitata in Canada e in Francia a due festival internazionali

Migration

di Lara Maria Ferrari

Pensereste mai al vostro corpo come a un fiume ? Provateci, suggerisce Alessandra Calò con le sue fotografie, che parlano di mappe, quelle che disegnano i nostri corpi, modificandosi per i cambiamenti sopraggiunti. Stupita da un invito inaspettato, la fotografa tarantina (1977) residente a Reggio lavora da anni con differenti mezzi per approfondire temi legati a identità e memoria e si prepara a esporre il progetto ‘Kochan’ ai Rencontre Photo Gaspésie in Canada nord orientale, con tappa successiva al Festival Photaumnales in Francia.

La incontriamo alla vigilia della partenza per il Québec e dalla sua faccia intuiamo che il nome Gaspésie le abbia prodotto lo stesso effetto della domanda Dove sono i Pirenei.

Alessandra, è pronta per Les Rencontres en Gaspésie?

"Quando l’art director del festival mi ha contattata, ero davvero incredula. Non solo non immaginavo che un mio lavoro potesse andare così lontano, ma lui ha mostrato di conoscere tutto il mio lavoro, soprattutto i miei libri. E’ stato emozionante. Prima di ufficializzare il progetto, abbiamo avuto tre incontri via Skype per capire insieme cosa sarebbe stato meglio esporre. Il festival è open air e itinerante e il luogo scelto per me è la Baia di New Richmond. Nonostante avessi lavori più recenti, la sua scelta è caduta su Kochan, una serie fotografica nata nel 2016. Mi sono meravigliata di quanto un lavoro che personalmente definisco ‘vecchio’ possa invece risultare attuale, soprattutto per il tema di questa XIII° edizione, Radical Hope (Speranza radicale)".

In che senso lo giudicava vecchio ?

"Non so se è un fenomeno comune ad altri colleghi, ma lavorando su serie facenti parte di un unico progetto, quando ne determino la fine reputo quei lavori vecchi, spostando la mia attenzione su nuove ricerche. Con il tempo, sto comprendendo che sono io che sorpasso l’opera e quelli che sono stati fino ad allora i miei limiti, ma l’opera resta lì, carica di un significato che cambia a seconda di chi ci si riflette dentro".

Le mappe per lei rivestono un’importanza cruciale nella definizione del corpo: "Un territorio da esplorare". Ci spiega?

"Questa serie fotografica nasce da una riflessione sul significato di identità e il tentativo di volerla rappresentare. L’ho voluta immaginare come un viaggio senza coordinate attraverso luoghi da esplorare… Considerando il corpo come un territorio, mi sono resa conto che nulla può essere considerato definitivo: i confini si ridisegnano, il territorio fisico è soggetto a cambiamenti così come i nostri atteggiamenti, le azioni e il rapporto verso la natura e gli uomini".

I ritratti di famiglia hanno ancora importanza per lei?

"Il recupero e riutilizzo di materiali sono il punto di partenza della mia ricerca e produzione artistica. Il lavoro che realizzo con i materiali d’archivio mi permette di creare nuovi universi e raccontare, ogni volta, nuove storie, oltre a essere un viaggio nell’immagine fotografica".

Che cos’è il passato?

"È tutto quello che non c’è più, ma che ha lasciato traccia e memoria, spesso indelebile. Nel mondo dell’arte, della letteratura, ma anche nella politica e nella società… Non ci saremmo se non ci fosse il passato. Per me è qualcosa di estremamente attuale e presente: penso alle antiche tecniche di stampa fotografica che utilizzo per le mie opere: sono ricette nate nell’800. Oppure alle lastre negative ritrovate del mio progetto Secret Garden. Riattualizzare qualcosa che appartiene al passato non significa essere nostalgici ma coscienti e consapevoli, soprattutto per tentare di immaginare un futuro migliore".

Pensando alla stratificazione di significati del progetto canadese, a che punto della sua evoluzione personale si sente?

"Non so se evolvo, di sicuro cambio. Cambia l’approccio alla vita e all’arte e questo credo si sia acutizzato durante il periodo di confinamento Covid. Aver avuto modo di apprezzare la lentezza del tempo mi ha portata a diventare più riflessiva nella mia pratica artistica. Ho fatto delle scelte diverse, ho imparato a dire no e a scegliere di fare solo quello che mi fa star bene. Nonostante ci si immagini conseguenze di sacrifici e rinunce, mi sono trovata davanti nuove opportunità e soddisfazioni: ho pubblicato due libri (Herbarium con StudioFaganel e Kochan con Danilo Montanari), ho realizzato un progetto a cui tengo tantissimo perché fatto con persone fragili; sono stata invitata a tre festival internazionali e ho la fortuna di collaborare con persone interessanti che mi faranno crescere".

Nella vita le è capitato di raccontare il caffè. Sprovvista di obbiettivo, che esperienza è stata?

"Tempo fa sono stata invitata a realizzare una miniguida turistica su Trieste e la sua vocazione per il caffè. Mi sono resa conto che la scrittura è un po’ come la fotografia: le parole che restano sono gli attimi che la mente ha voluto bloccare in un ricordo; l’interpretazione personale di ciò che abbiamo davanti in quel momento".

Dove sarà a settembre ?

"Il 15 settembre Herbarium - i fiori sono rimasti rosa, sarà presentato a Bologna, alla Maison LaviniaTurra, in una mostra a cura di Azzurra Immediato. Questo progetto è molto importante per me. Più che un’opera è stato un percorso di 4 mesi, dove la presenza e la collaborazione con sei persone fragili mi ha cambiato il punto di vista, aprendomi verso una realtà che spesso si tende a emarginare o ignorare. Grazie alla collaborazione con la stilista Lavina Turra, Herbarium diventerà una capsule collection con delle stampe rayografiche che ho realizzato a mano su seta.

Che va cercando fotograficamente parlando?

"Cerco il difetto, perché lì riconosco l’umanità (intesa come mano dell’uomo); cerco la sperimentazione e la possibilità di trasformare qualcosa che, a parer mio, oggi è troppo standardizzata".