
di Francesca Chilloni
Erbacce alte come piante di mais a oscurare la vista del ristorante Millefiori, ragnatele sulle vetrate dei saloni e animali selvatici che trotterellano a bordo piscina, il cancello chiuso con una pesante catena lucchettata. Così, a due passi dal cuore di Montecchio, i meccanismi burocratici rallentati compromettono l’efficacia della lotta antimafia. Sono 8 anni che il complesso immobiliare di 7mila metri quadrati è stato posto sotto sequestro nell’ambito dell’operazione Aemilia contro la cosca ‘ndraghetistica Grande Aracri, e poi consegnato in gestione ad un curatore che risponde alla Ansbc, l’Agenzia governativa per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.
Il 13 luglio 2020 il Comune di Montecchio, tramite il sindaco Fausto Torelli e l’assessore Stefani Ferri, ha presentato formale domanda per averne l’assegnazione. La richiesta è stata portata anche alla Consulta provinciale della legalità.
"Ogni giorno aspetto una telefonata dalla Prefettura che ci annunci che Millefiori è stata data ai montecchiesi e alla nostra amministrazione comunale. Sono fiducioso che avverrà presto", dichiara da mesi Ferri, con ottimismo incrollabile.
Ma non ci sono segnali nemmeno di una assegnazione temporanea al Comune, che vi vorrebbe realizzarvi la Casa della cultura e delle associazioni.
Millefiori – tra i beni più ingenti mai confiscati a soggetti legati alla cosca calabro-emiliana del boss Nicolino Grande Aracri – avrebbe dovuto essere un simbolo della vittoria della legalità. Ai proprietari dell’immobile – i fratelli Palmo e Giuseppe Vertinelli, arrestati nel 2015 nell’ambito dell’operazione Aemilia – e al loro socio Nicolino, nonché al gestore Michele Bolognino sono state comminate a vario titolo condanne pesantissime. La giustizia penale è stata relativamente rapida, ma il resto della macchina e a marcia bassa.
"Il problema dell’assegnazione al Comune è complesso. Ci sono creditori che avanzano giuste pretese, ma in questo modo Millefiori è diventato un simbolo negativo per la lotta alla mafia", afferma il giurista Elia Minari, che con l’associazione Cortocircuito aveva promosso una progettazione collettiva del riuso del complesso, che dal gennaio 2022 ha coinvolto circa 240 studenti degli istituti superiori per geometri ’Secchi’ di Reggio e ’Rondani’ di Parma; quando i ragazzi con i loro docenti hanno visitato l’area per svolgere i rilievi tecnici, hanno dovuto "disboscarla".
"Sono oltre 200 i beni confiscati in provincia di Reggio, un patrimonio di oltre 350 milioni di euro – prosegue Minari –, Una sfida e una opportunità. Ma se lo Stato non riesce a farsene carico, le regole sono a rischio. La mafia è un modello di società antitetico al nostro: di disuguaglianze, di concorrenza sleale e sfruttamento parassitario anche dei lavoratori, di sopraffazione e violenza. Un modello che ingolosisce chi cerca scorciatoie".
Dei 200 beni si contano sulle dita di una mano quelli assegnati per un riutilizzo per fini sociali a favore delle comunità danneggiate dalla mafia: tra essi due capannoni a Brescello, di proprietà di Francesco Grande Aracri (fratello del boss), oggi occupati dalla Protezione civile. Il Municipio di Montecchio dal canto suo ha presentato due progetti di riuso: oltre a quello relativo al Millefiori, un altro riguarda tre immobili confiscati situati al 77 di via Matteotti. Qui l’iter burocratico è andato più spedito: la Regione ha anche cofinanziato con 96mila euro (su un costo complessivo di 120mila euro) il riutilizzo come sede dei servizi sociali territoriali di una palazzina con due appartamenti. È previsto il recupero edile dei locali interni e l’adeguamento delle tre unità immobiliari recentemente destinate dallo Stato al Comune che lo utilizzerà per fini sociali. Sarà realizzato un ascensore esterno, verranno sistemati i bagni e gli impianti elettrici, saranno tutti ritinteggiati e saranno acquistati arredi per poter ospitare i Servizi sociali. Ma Millefiori è lì, vista da centinaia di persone ogni giorno percorrono la strada Montecchio-Calerno, come l’impossibilità di un rapido trionfo della legalità.