Il signore dei circuiti "Volevo costruire robot Ora progetto sicurezza negli autodromi"

Il destino di Jarno Zaffelli è scritto nel nome: lo stesso del mitico Saarinen, scomparso sulla pista di Monza. "Con la mia società studiamo le cadute dei piloti e pensiamo alle misure per ridurre gli infortuni".

Il signore dei circuiti  "Volevo costruire robot  Ora progetto sicurezza  negli autodromi"

Il signore dei circuiti "Volevo costruire robot Ora progetto sicurezza negli autodromi"

di Lara Maria Ferrari

Nonostante nel suo ruolo di progettista abbia tagliato tanti traguardi e relative bandiere a scacchi, si è sempre sentito fotografo nell’animo. Uno dei talenti riconosciuti a Jarno Zaffelli, oltre a quello di designer. Nato il 30 ottobre 1976 a Reggio, Zaffelli è progettista di autodromi e motodromi nel mondo e deve il suo nome a Jarno Saarinen, motociclista finlandese, a indicare un amore per le ruote scritto nei geni. Innovatore e inventore di sistemi che fondono ingegneria e riprese fotografiche con sofisticate tecnologie a infrarossi, architettura e informatica, Jarno prepara o progetta le piste dei circuiti di Formula 1 e Moto GP. Lo incontriamo nella sede della sua società Dromo, alla vigilia della partenza per la Malesia.

Da bambino voleva fare il pilota?

"Volevo costruire robot, ma anche diventare astronauta. Mi piacevano anche le supercar. Da grandicello mi sono reso conto che mi interessava sempre meno la programmazione, preferendole l’hardware. Sono fatto così. Ha brevettato sistemi proprietari che utilizzano rilievi a laser fondamentali per verificare geometrie e planarità delle piste automobilistiche e motociclistiche".

Non si sente addosso troppi impegni?

"Ci sguazzo nella responsabilità. Anzi, ne vorrei sempre di più e qualora non dovessero essere abbastanza, le cerco perché mi mancano. Faccio un esempio. Il mio team principale è costituito da una quindicina di persone. Su un progetto di F1, in una fase di concept siamo in quaranta, mentre quando arriviamo alla realizzazione tocchiamo le 100 unità. Per Doha siamo in 4mila persone, e consideri che si tratta di cantieri veloci. Ne abbiamo aperto uno a ottobre 2022 e ci aspettiamo di chiuderlo il 15 luglio".

Parliamo di droni?

"Ho iniziato a progettarli che avevo 32 anni, nel 2008. I miei genitori fin da piccolo mi hanno permesso di costruire cose strane. Adesso non li progettiamo più, ma li utilizziamo con Payload, fotocamera, sensore al laser e termici. Da giovanissimo realizzavo auto comandate elettriche. Ho accumulato migliaia di ore di volo in quattro continenti con droni specializzati progettati ad hoc. Produco ogni anno oltre 35mila immagini indispensabili al nostro lavoro".

Davanti ha due progetti importanti.

"A Sepang, sede del Gran Premio della Malesia, riasfalteremo un tratto di pista, poi come dicevo a Doha stiamo rifacendo l’autodromo e seguiamo tutta la parte della pista".

Sicurezza e rating di incidenti più bassi nei mondiali che si corrono su circuiti progettati o modificati da lei, sono un altro fiore all’occhiello.

"Devo ammettere che i progetti della Dromo di modifica negli autodromi e motodromi hanno salvato da cadute e ferimenti innumerevoli piloti, consentendo la continuità delle presenze sui molti circuiti durante le gare di campionato. Gli studi elaborati con il mio team con sede in Italia e branch nel mondo sono diventati il riferimento per calcolare le vie di fuga".

In materia di sicurezza, la prevenzione è fondamentale. Ma quando le cadute in circuito diventano inevitabili?

"Abbiamo svolto studi sulla durata delle cadute di un pilota, a seconda che si trovi a correre su asfalto o erba. Sono stato un po’ un pioniere in questo, se ci penso, dal momento che ho regalato le mie valutazioni nel 2013 alla comunità scientifica. Non c’era letteratura sull’argomento. Riusciamo a prevedere non soltanto dove cadranno, ma anche che tipo di carambola faranno e dove andranno a sbattere. Al Mugello per esempio si toccano le 3000 cadute ogni anno, una stima di 10 al giorno".

Quanto tempo trascorre lontano da casa?

"Tre quarti dell’anno, almeno. Sei, sette mesi all’estero".

Ha una famiglia che l’aspetta? "Certo, di cui due ragazze di 8 e 13 anni, per un totale di tre femmine a casa. Ma se non ci fosse lei, mia moglie, non riuscirei a fare quel che faccio".

Da quanto state insieme? "Vent’anni. Ci siamo conosciuti nel 2003, quando ero completamente immerso nella scoperta degli autodromi".

Diceva, di Saarinen?

"Era il Marco Simoncelli dell’epoca e morì a Monza insieme a Renzo Pasolini".

Lei si sente soprattutto fotografo.

"La fotografia è una questione famigliare. Mio bisnonno era fotografo dei Reali di Savoia, mio nonno materno Giancarlo Terenziani era cineoperatore al Radium. Quando ero piccolo la mamma aveva il proiettore Super 8, il papà la macchina Hasselblad. Ricordo il giorno in cui mi disse "Ok, puoi usare la Leica". Alle isole Lofoten bruciai 10 rullini. Io sono un cocktail di tutte queste esperienze".