
Nicola Bartoli, studente 24enne fuorisede ha denunciato tutto alla polizia
Reggio Emilia, 27 marzo 2025 – Picchiato, minacciato con un coltello e sequestrato per oltre mezz’ora, costretto a vagare per il centro storico di Reggio alla ricerca di un bancomat per dare i soldi ai suoi aguzzini. È l’incubo vissuto da Nicola Bartoli, 24 anni, studente fuorisede di Recanati (in provincia di Macerata), iscritto alla magistrale in Controllo e Sicurezza degli Alimenti di Unimore. Un’aggressione brutale, avvenuta nella notte fra domenica e lunedì, che ha colpito duramente lo studente.
Nicola, come è iniziato tutto?
“Ero partito da casa alle 20.30 e sono arrivato a Reggio poco dopo l’una di notte con un treno regionale. Dopo aver attraversato il sottopassaggio della stazione e piazzale Marconi, ho imboccato via Eritrea. All’altezza dell’incrocio con via Lama Golese mi si avvicina un ragazzo, tunisino, tra i 20 e i 25 anni”.
Sembrava pericoloso?
“Non era un senzatetto, era vestito firmato, ma ubriaco. Lo si capiva dall’odore e dai movimenti incerti. Parlava abbastanza bene l’italiano. Mi ha chiesto la tessera sanitaria per prendere le sigarette, gli ho risposto che non avevo il portafoglio”.
Poi la situazione è degenerata?
“Sì, perché subito dopo sono arrivati i suoi amici e mi hanno accerchiato. Otto persone: quattro davanti e quattro dietro. Non c’era via di fuga e a quell’ora per strada non passava nessuno. Ho deciso di assecondarli. Mi hanno portato davanti a un distributore automatico di sigarette in via Eritrea e mi hanno costretto a usare l’impronta digitale per comprare le sigarette”.
Qualcuno di loro era armato?
“Sì, uno aveva un coltellino multiuso, grande più o meno quanto una mano. Mi intimava di stare girato verso il distributore, mentre un altro cercava di rovistarmi nello zaino”.
Dopo questa prima aggressione, pensava fosse finita?
“Lo credevo. Quando mi hanno lasciato andare, ho tirato un sospiro di sollievo e ho proseguito per la mia strada, passando persino davanti alla questura senza fermarmi. Dopo un po’, però, ho notato che il primo ragazzo che mi aveva fermato mi stava seguendo. Ho provato a cambiare marciapiede, ma lui ha fatto lo stesso”.
Ha pensato di scappare?
“Sì, ma ero impossibilitato. Avevo lo zaino pesantissimo. Poi lui mi ha chiamato dicendo che non voleva farmi nulla. Ho abbassato la guardia e mi ha raggiunto. Mi ha chiesto se volevo fumare. Ho rifiutato, ma cercavo di mostrarmi calmo per non peggiorare la situazione. Poi all’improvviso mi ha messo una mano sulla spalla, mi ha afferrato con forza e ha provato a scaraventarmi a terra. Ho resistito, sono rimasto in piedi, ma lui si è aggrappato al mio giubbotto e mi ha detto: ’Se urli, ti buco’, mostrandomi un coltello a farfalla. Gli ho dato il portafoglio. Ha preso i cinque euro che avevo, la Postepay e la tessera sanitaria”.
A quel punto l’hanno lasciata andare?
“No. Poco dopo è arrivato un suo amico in monopattino, quello con il coltellino multiuso. In due mi hanno praticamente sequestrato per 33 minuti, portandomi in giro per il centro storico in cerca di un bancomat. Non c’era anima viva. Mi tenevano sotto minaccia con i coltelli”.
Mostravano apertamente le armi?
“Uno teneva il coltello in mano, l’altro lo nascondeva in tasca mentre mi teneva a braccetto, come se fossimo amici in una passeggiata notturna. Se avessi provato a scappare, mi avrebbero accoltellato. Prima mi hanno obbligato a comprare altre sigarette, poi mi hanno portato alle Poste, ma non sono riuscito a prelevare perché era troppo tardi”.
Durante quei 30 minuti di prigionia cosa le dicevano?
“Mi minacciavano di continuo. Nei punti più illuminati fingevano di assecondarmi, ma appena svoltavamo in una via isolata ricominciavano a dirmi che, se avessi tentato di fuggire, mi avrebbero accoltellato. Erano aggressivi, violenti. E non ho trovato nessuno a cui chiedere aiuto”.
Come si è concluso tutto?
“Mi hanno portato al Credem in via Emilia e mi hanno costretto a prelevare 550 euro, che si sono intascati. Poi si sono presi il mio giubbotto e perfino l’orecchino, provando a strapparmelo direttamente dall’orecchio. Ho cercato di spiegare che erano regali di famiglia, ma non gli importava nulla. Alla fine mi hanno lasciato lì, sbeffeggiandomi. Appena si sono allontanati ho chiamato il mio coinquilino e sono andato a denunciare tutto alla polizia”.
Ora come si sente?
“Non provo rabbia, ma frustrazione. Queste persone erano già note alle forze dell’ordine. Lo so perché già ieri mi è stato restituito dalle forze dell’ordine parte di quello che mi avevano rubato. Se tra qualche mese li vedo di nuovo in giro... È quello che mi fa arrabbiare di più. Il nostro sistema di giustizia non punisce in modo proporzionato ai reati”.
Che cosa pensa si dovrebbe fare per evitare episodi simili?
“Non ho la soluzione. Penso che l’impiego dell’esercito servirebbe solo a tamponare il problema. Ma una cosa è certa: non si può aver paura di attraversare la stazione di notte. Non c’è una volante, le strade sono deserte. Di Reggio mi avevano sempre parlato bene, poi arrivi qui e vivi un’esperienza così. E la cosa peggiore è che non cambia mai nulla: sono sempre gli stessi criminali in giro. Non mi sento nemmeno sicuro a raccontare questa storia, perché molti di loro sono ancora liberi. Ma nascondersi non è la soluzione, quindi spero che la mia testimonianza possa servire a qualcuno”.