REDAZIONE REGGIO EMILIA

Katia Panisi dice addio al bar del tribunale

Ci sono i banchi delle aule dove si celebrano i processi e poi, a pochi metri, c’è il bancone: quello...

Ci sono i banchi delle aule dove si celebrano i processi e poi, a pochi metri, c’è il bancone: quello...

Ci sono i banchi delle aule dove si celebrano i processi e poi, a pochi metri, c’è il bancone: quello...

Ci sono i banchi delle aule dove si celebrano i processi e poi, a pochi metri, c’è il bancone: quello del bar dove tutti, indistintamente, si ritrovano fianco a fianco. Nel locale del tribunale reggiano, più che una semplice pausa, è un rito condiviso da molti. Oggi per Katia Panisi, storica barista del palazzo di giustizia, dopo 20 anni sarà l’ultimo giorno di lavoro nell’attività gestita da Gianluca Rozzi. In questo periodo, un popolo variegato – avvocati, magistrati, dipendenti del tribunale, imputati e parti offese, giornalisti e cittadini – hanno ricevuto ogni giorno da Katia non solo un buon caffè, l’erbazzone caldo, brioche e gustosi pranzetti, ma anche l’energia e la simpatia sprigionate dal suo sorriso.

Grazie a lei sono stati allestiti rinfreschi e buffet, organizzati con le colleghe, per accompagnare occasioni importanti. "Prima lavoravo al bar Mazzini in Corso Cairoli. Ho iniziato nel bar del Tribunale nel 2005: non immaginavo che sarebbe diventata una seconda casa. In vent’anni ho visto tante persone incrociarsi davanti a un caffè. Alcuni sono diventati amici, altri semplici volti familiari, ma ognuno mi ha lasciato qualcosa". Quel bancone è diventato un crocevia: "Sono passati membri delle forze dell’ordine, pubblici ministeri e procuratori capo, i giudici. A tutti i magistrati davo del lei, ma li chiamavo per nome". Come ad esempio "Cristina", la presidente del tribunale Beretti: "È una grande amica con cui ho condiviso tanto". Sotto i suoi occhi è passato il tempo: "Ho visto generazioni di giovani avvocati crescere e affermarsi". E il tribunale è diventato molto più di un luogo di lavoro: "Per me è una famiglia".

Da quel bancone si è guardato con una prospettiva tutta particolare ai casi che hanno sconvolto la città. Come la sparatoria del 17 ottobre 2007, quando durante un’udienza di separazione un albanese uccise la moglie, il cognato e ferì due avvocati e un agente, prima di essere freddato da un poliziotto: "Allora si entrava senza controlli, poi è cambiato tutto. Quel giorno arrivarono i carabinieri a sirene spiegate, le ambulanze. Sembrava un film". Ma anche il processo di ndrangheta ’Aemilia’: "L’aula bunker occupava il cortile, noi eravamo ’chiusi’ qui: ricordo i controlli serrati per venire anche al bar".

Ogni giorno al bar si sono raccolti coloro che lavorano nel sistema giustizia o i protagonisti di piccole e grandi storie, ognuna unica: "Un caffè, a volte, è molto più di una bevanda: è un momento di confronto e umanità. Lascio questo bancone con emozione e con gratitudine verso tutti. Voglio salutare coloro che in questi giorni non ho rivisto al bar. È solo un arrivederci: il cuore resta qui tra queste mura e tra le persone che le abitano".

Alessandra Codeluppi