La Dichiarazione universale in dialetto reggiano

Lo storico testo sui diritti dell’uomo tradotto da Bagnoli: "Non sempre si possono usare parafrasi e allora bisogna creare dei neologismi"

La Dichiarazione universale in dialetto reggiano

La Dichiarazione universale in dialetto reggiano

La Dichiarazione universale dei diritti umani in dialetto reggiano. Può sembrare un paradosso ma Gianluigi Bagnoli, presidente del Centro studi sul dialetto Reggio e socio emerito della Deputazione di storia patria per le antiche provincie modenesi, ha deciso di tradurre lo storico documento, in occasione del suo 75esimo anniversario, nella lingua parlata dai nostri nonni e genitori. "Gli scopi sono principalmente due – spiega Bagnoli –, innanzitutto dimostrare che il dialetto è una vera lingua, non utilizzabile solo per il turpiloquio e le battute. Può assumere valenze molto importanti come, in questo caso, quella giuridica. In più, come è successo anche a me che non avevo mai studiato bene questa Dichiarazione, è un’occasione per avvicinarsi e riconoscere il valore e la lungimiranza di questo testo, uscito nel ’48 ma con contenuti ancora attuali e utilissimi". Non è la prima grande traduzione in dialetto reggiano: "Ho da poco presentato la Costituzione e avevo tradotto anche ‘Il piccolo principe’; in più Franco Verona con un lavoro eccezionale ha tradotto mantenendo la struttura metrica la Commedia di Dante e perfino Ludovico Ariosto". La Dichiarazione universale non è stata il lavoro più complesso: "Ci ho messo circa un mese, si tratta solo di 30 articoli. Dopo averla letta due volte in italiano ho studiato ogni parola, utilizzando soprattutto il vocabolario italiano-reggiano realizzato dal maestro Luigi Ferrari una quindicina di anni fa, un’opera straordinaria e quasi introvabile". Anche dell’ultima opera di Bagnoli non ci saranno tante versioni: "La Deputazione vive di carità da parte degli enti, in questo caso dobbiamo ringraziare la Fondazione Manodori per averci aiutato a stampare circa 130 copie. La presentazione oggi alle 16 nella sala civica di Albinea, in via Morandi 9, poi sarà in vendita nella libreria Bizzocchi di via Vittorio Veneto". Nella traduzione le soddisfazioni più grandi "vengono dagli articoli più semplici. Perché il dialetto, per la sua tipica colloquialità, usa frasi brevi e a sé stanti. Non ci sono tante frasi dipendenti e gli articoli più lunghi della Dichiarazione li ho dovuti spezzare e riscrivere. Il significato è mantenuto, ma nel dialetto non ci sono periodi molto complessi e dunque ho dovuto dividerli in più frasi. La lingua dei nostri avi è più povera di congiunzioni e per esempio usa poco il gerundio, per cui vale la perifrasi ‘Eser a dree’. Un altro tema sono i neologismi – prosegue il presidente del Centro studi per il dialetto –, quelle parole che non esistono nel dialetto. Non sempre si possono usare parafrasi, ad esempio l’aministrasioun provincela quella è e quella rimane, non puoi cambiare. Ci metti la cadenza dialettale ma devi creare la parola nuova e d’altronde se il dialetto sopravvive ancora nei giovani è perché usano neologismi, non le parole di una volta. Il dialetto diventa neologismo".

In altri casi invece Bagnoli ha potuto sbizzarrirsi di più: "’Arbitrariamente’ è diventato ‘Fora da ‘na leg giosta’; ‘risiedere’ ‘ster ed cà’; la libertà di pensiero ‘pensêr còl ch’as vôl’, quella di espressione ‘prer dir còl ch’un peinsa’; le ‘periodiche e veritiere elezioni’ dell’articolo 21 invece le ho potute rendere solo con ‘elesioun fati bein e in libertèe e ogni tant’an’". Pochi esempi che rappresentano bene come la concretezza del dialetto renda più concreto perfino un linguaggio tecnico e complesso come quello giuridico.

Tommaso Vezzani