La natura ostile di Michelangelo Galliani

L’artista esponde a Palazzo Donà delle Rose, a San Marino: "Una riflessione sulla vita dell’uomo sulla terra, così insignificante..."

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Negli spazi rinascimentali di Palazzo Donà dalle Rose, all’interno del padiglione della Repubblica di San Marino alla 59. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, Michelangelo Galliani (Montecchio Emilia, 1975) espone l’opera Un Giardino Imperfetto, nell’ambito del progetto espositivo Postumano Metamorfico.

Qual è il significato dell’opera e com’è maturata dentro di lei ?

"‘Un giardino imperfetto’ parla del rapporto dell’uomo con la natura, della vita e della morte e della capacità della natura di rinascere e riconquistare i suoi spazi. Un rapporto da sempre conflittuale con un ambiente ostile e indifferente in cui l’uomo è apparso così come potrebbe scomparire. Dobbiamo ricordare che la vita si è sviluppata in una finestra temporale brevissima, insignificante per i tempi dell’universo. Pertanto ritengo sbagliato e anche presuntuoso dire che ’l’uomo sta distruggendo il pianeta’. Al massimo potrà distruggere sé stesso. E comunque la vita non va mai data per scontata. Personalmente non amo la natura, mi è ostile, il concetto di bello o brutto è relativo alla nostra visione delle cose e all’abitudine. L’esistenza stessa della materia è il frutto di un compromesso che come sempre è al ribasso. L’unica perfezione possibile è l’assenza di materia. L’opera che ho realizzato per la Biennale è una riflessione su una verità plausibile. Sicuramente due testi, Imperfezione e Finitudine di Telmo Pievani, hanno influenzato quest’opera. Per certi versi anche Decadenza di Michel Onfray".

All’interno di questo Giardino Imperfetto è collocato un essere umano. Chi è ?

"E’ la rappresentazione di un uomo attraverso un linguaggio universale, in questo caso scultoreo. Ma si tratta di un corpo mutilato, frammentato. E’ il simbolo, la memoria di una civiltà perduta. Antica o contemporanea che sia. Attorno a essa una vegetazione, in parte morta, in parte viva. Tutti questi elementi sono semisommersi nell’acqua, luogo della nascita e della rinascita. E’ un’opera ottimista nonostante le premesse. E’ semplicemente quello che fa la vita da sempre. Cerca ostinatamente di sopravvivere".

Quali sono state le sue fonti d’ispirazione?

"Oltre la parte letteraria, durante la definizione del progetto ha influito in modo significativo il film ‘AI intelligenza artificiale’, su cui lavorò a lungo Stanley Kubrik e che diresse Steven Spielberg. Il film parla della memoria della civiltà umana tragicamente affidata a un robot. Il bambinoumanoide si inabissa nell’oceano, ma non può morire, non si decompone e diviene l’unica immagine e l’unica prova dell’esistenza umana sulla terra. Quindi il tema è il rapporto di valore assoluto dell’uomo nei confronti del pianeta ma soprattutto dell’universo".

Dalla sua prospettiva di artista e di uomo, che momento storico stiamo attraversando?

"Ci troviamo in un’epoca di decadenza, per citare Onfray. Per lo meno l’Occidente. Inseguiamo un’idea di sviluppo e società completamente distorti pensando che normare e regolamentare ogni aspetto della nostra vita sia una grande conquista di civiltà. Vedo un’isteria dilagante a tratti infantile nell’affrontare i grandi temi o i continui problemi che investono l’uomo. Ieri il Covid oggi la guerra in Ucraina. Nessun pragmatismo, nessuna riflessione di ampio respiro. Finte democrazie vittime di un capitalismo (oggi molto green), dove i diritti e la libertà possono essere sospesi e poi negoziati. Nell’apatia totale dei diretti inetressati. L’Italia è un paese vecchio e privo di prospettive. Il Mattarella bis, un presidente del Consiglio mai votato dal popolo e la certezza che chi perderà le prossime elezioni siederà di certo nel prossimo Governo non danno un’idea di un Paese in grado di produrre una visione del futuro. La nostra grandezza viene dal passato, non di certo da questa modernità. Abbiamo rimosso la morte e la sofferenza dalle nostre vite e quando queste ci invadono in modo così dirompente come in questi giorni non siamo in grado di reagire. Perché non concepiamo più neppure l’idea della guerra. Che è atroce e ingiusta. Ma basterebbe ricordare che l’uomo è sempre stato in guerra, ha sempre visto la morte e le atrocità. Piaccia o non piaccia, questa è la nostra natura. Chi lo nega è un ipocrita. Per questo la vita va difesa e preservata come bene prezioso. Di contro l’arte contemporanea (non tutta per fortuna) celebra una umanità devastata. Viene da chiedersi come sia possibile che il dramma, la depravazione e il senso di tragica solitudine dell’umanità siano le uniche e sole tematiche che interessano gli artisti e il pubblico. Dimenticando Dio (lo dico da non credente), l’abbiamo svuotata e scarnificata privandola della sua tensione naturale che superava l’uomo e le sue naturali miserie. Manca una visione in grado di superare la nostra dimensione terreste".

In una precedente conversazione lei diceva che il fare arte è una costante del suo esistere. È ancora così?

"Sì, lo è ancora, lo è sempre stato. Le opere nascono in modi e momenti diversi. L’artista è al lavoro anche quando apparentemente non lo è. E’ un opportunista, uno sciacallo, un ladro che osserva e ruba tutto ciò che ha intorno. Direi di lasciare alla nostra esistenza una buona dose di imponderabile e imprevisto. Non sia mai che le cose buone vengano proprio da lì".

Lara Maria Ferrari