Don Giuseppe Dossetti, al rientro dal viaggio compiuto assieme a don Alessandro Ravazzini nei giorni scorsi in Ucraina dilaniata dalla guerra scatenata dalla Russia, ha scritto nella periodica lettera alla comunità: "Ho visto tantissime cose, ho incontrato persone amiche e anche alcuni protagonisti della guerra e testimoni delle distruzioni che essa porta con sé. Ma non ho visto soluzioni. Anzi, più la guerra si prolunga, più è difficile immaginare che ci possa essere un accordo. Si va avanti, confidando nella prossima offensiva, come se la storia non insegnasse che, a un certo punto, le guerre finiscono solo perché non c’è più niente da bruciare e da distruggere. Mi è stato detto, da persone che stimo per il loro equilibrio e la loro onestà, che l’Ucraina ha solo due possibilità: o vincere o morire. Una vittoria e la conseguente dominazione russa, vorrebbero dire essere schiacciati e perdere la propria esistenza come popolo. Ma qualcuno mi ha detto la stessa cosa per la Russia: perdere questa guerra, vorrebbe dire che quello che resta dell’impero si dissolverebbe, in tante unità etniche, magari replicando la violenza di incendi che già covano sotto la cenere".
Don Dossetti è tornato a Zhytomir, dove nel 1992 fondò una scuola: "Mi colpisce la sicurezza con la quale i protagonisti, ma anche i loro sostenitori, parlano di strategie necessarie e di immancabile successo".
La domanda, inevitabile: "Ma allora, è possibile rivedere la luce? Secondo me, sì. Ho incontrato un popolo che prega, magari in forme diverse dalle nostre. La loro liturgia è una scuola di vita. Innumerevoli volte si ripete: “Gospodi pomilui”, Signore abbi pietà. La preghiera non ottiene la soluzione magica, ma ci orienta alla via dell’umiltà, del riconoscimento che siamo ciechi. Ci libera dalla presuntuosa sicurezza, dalla retorica vanitosa".