L’analisi della Cia tra luci e ombre: "C’è un problema di manodopera. Ma la nostra forza è la varietà"

Catellani: "Occorre fare una lunga formazione e stabilizzare i lavoratori" .

L’analisi della Cia tra luci e ombre: "C’è un problema di manodopera. Ma la nostra forza è la varietà"

Crescono le coltivazioni di nicchia come i grani antichi: in foto l’attore-agricoltore Andrea Gherpelli che ha avviato. un’azienda agricola di produzione propria

Lorenzo Catellani, presidente reggiano della Cia – Confederazione Italiana Agricoltori – quanto è grave la riduzione del numero di imprese?

"È una tendenza italiana ma anche europea. È vero che le aziende agricole sono un po’ meno, ma d’altra parte quelle che rimangono hanno più terreno e questo per il nostro territorio è un dato positivo visto che incide su un problema storico: la superficie media di un’impresa reggiana è medio-piccola, 20 ettari, mentre in Francia e Germania sono grandi il triplo".

Ci possono essere quindi dei benefici per i nostri contadini?

"Quella reggiana è un’agricoltura molto varia e ha in questo un suo punto di forza, anche a livello ambientale. Ci sono aziende piccole e giovani che entrano nel mercato con produzioni di nicchia come grani antichi o frutta biologica, e poi le grandi eccellenze come il parmigiano, il lambrusco, il prosciutto… Il numero di imprese si riduce perché molti anziani smettono, ma questi terreni passano ad aziende che, con più spazi, possono mantenere una dimensione artigianale e al tempo stesso lavorare molto meglio".

Ma esistono ancora, i contadini reggiani?

"In provincia ci sono circa 5mila imprese agricole e il 99% è gestito da reggiani o comunque da italiani. I dipendenti invece sono circa 7mila e di questi più o meno la metà è straniera, immigrata. Come a scuola, al lavoro e nelle strade è normale vedere persone di molte culture, anche nelle campagne oggi è così. È gente che fa un ottimo lavoro e crea degli ottimi rapporti, perché all’agricoltura reggiana servono figure stabili, non avventizie o per periodi brevi ma da formare, che si leghino all’azienda in modo duraturo. Anche gli stranieri in questo modo diventano produttori di beni agricoli reggiani, sicuramente anche loro protagonisti del made in Italy perché imparano le nostre lavorazioni e le portano avanti".

Molti settori oggi faticano a trovare manodopera: è un problema anche vostro?

"Sì, da tempo lamentiamo questo aspetto, perciò quando troviamo dei lavoratori ce li teniamo ben stretti. Abbiamo un grande bisogno di formare queste persone con percorsi molto lunghi, che naturalmente costano, e poi c’è la necessità di stabilizzarli".

Esistono anche a Reggio lo sfruttamento e il caporalato?

"No, non ne vedo proprio, anzi vedo famiglie straniere, indiane o sikh come a Novellara, che hanno portato qui i bambini, si sono integrate molto bene e lavorano e vivono nel nostro Paese. D’altronde è normale nei Paesi con economie evolute come anche Francia e Germania, il punto di forza sta nella capacità di integrarli e sta funzionando".

La comunità italiana invece sta perdendo contatto con un tratto fondamentale della sua cultura?

"Sicuramente da tempo come Cia chiediamo di rafforzare l’educazione alimentare a scuola, per evitare notizie false e informare sulla dieta mediterranea. Per le nostre produzioni di alta qualità come parmigiano e lambrusco c’è ancora interesse nei giovani e nelle generazioni che verranno, ma bisogna spiegare anche l’importanza che quei prodotti hanno dal punto di vista economico e sociale: rendono sostenibili territori come la montagna e la collina, e non tutti – non solo i ragazzi – ne sono consapevoli".

t.v.