ALESSANDRA CODELUPPI
Cronaca

L’autista di Falcone a Brescello: "Con Giovanni ancora in vita oggi avremmo un’Italia diversa"

Costanza, sopravvissuto alla Strage di Capaci, ha parlato di Cosa Nostra ospite al Festival della Legalità "Mi confidò che stava per diventare procuratore nazionale antimafia: non volevano che riaprisse certi fascicoli".

Da sinistra: il sindaco Carlo Fiumicino, Alessandra Codeluppi e Giuseppe Costanza

Da sinistra: il sindaco Carlo Fiumicino, Alessandra Codeluppi e Giuseppe Costanza

"Parlerò di verità scomode, ma che serviranno a correggere eventuali errori". Così ha esordito Giuseppe Costanza: lui, che dal 1984 fu autista di Giovanni Falcone per otto anni, era in macchina col magistrato quando, il 23 maggio 1992, furono coinvolti nella devastante esplosione di tritolo della strage di Capaci. Falcone, che era al volante con accanto la moglie magistrata Francesca Morvillo, morì; Costanza, seduto dietro, fu l’unico su quell’auto a salvarsi. Ieri è stato l’ospite speciale e conclusivo della seconda edizione del ‘Festival della legalità’, organizzato dal Comune di Brescello insieme alla Commissione mista per la legalità, ‘Noi contro le mafie’, Unione Bassa reggiana e Trenitalia-Tper.

L’incontro si è aperto con gli interventi del sindaco Carlo Fiumicino che ha lanciato la nascita della ‘rete per la legalità organizzata’; del consigliere Simone Zarantonello per la Provincia che ha ripercorso gli impegni antimafia dell’ente; e del prefetto Maria Rita Cocciufa che ha rivolto ai giovanissimi un invito a ‘muovere le energie’: "Il sindaco va aiutato, ditelo alle vostre famiglie". Oltre ai rappresentanti delle forze dell’ordine e istituzionali, la platea era gremita da 350 ragazzi delle medie di Guastalla, Gualtieri, Boretto, Brescello, Poviglio e Sorbolo, più due classi delle quinte elementari di Brescello: gli alunni hanno raggiunto il paese a bordo del ‘treno della legalità’ organizzato da Trenitalia-Tper. Intervistato dalla giornalista del Carlino, Costanza ha spaziato tra ricordi e riflessioni. La circostanza di non essere al volante durante l’attentato mafioso gli fu rimproverata. Ha parole strazianti: "Qualcuno disse che se io fossi stato alla guida Falcone si sarebbe salvato, ma io ne sarei più felice. Se lui fosse rimasto vivo, oggi l’Italia sarebbe diversa: sapeva dove mettere le mani". E pure stranianti: "Nel 1992 avevo 45 anni, ma oggi ne ho 33: in quel giorno io rinacqui". Tante sono le "verità scomode", secondo Costanza, che riguardano lo Stato. Alcune riguardano le sue peripezie al lavoro: "Quando rientrai dopo il coma non sapevano cosa farsene di me. Il ministero della Giustizia mi declassò a portiere. Nel 1994 mi incatenai al tribunale di Palermo per protesta", prima di iniziare una riconversione professionale. Parla di "mancati inviti, per anni, alle commemorazioni di Capaci.

Poi fu mio nipote, nel 2013, a dirmi: "Perché tu, che c’eri, non ci vai?". Allora mi svegliai e denunciai. Scrissi pure un libro, ’Stato di abbandono‘: iniziai a dare fastidio e allora cominciarono a invitarmi". Dice che, dopo la sostituzione al ministero dell’Istruzione di una dirigente, "la mia attività nei progetti scolastici non fu più ritenuta più idonea. Ora vado negli istituti grazie ai docenti che si fanno carico delle spese perché io racconti le verità che non troverete mai nei tg". Come il movente che, secondo Costanza, sta dietro la strage di Capaci e anche quella di via D’Amelio. Per lui si trattò di ‘depistaggio’: "Cosa nostra era la manovalanza, ma chi furono gli ideatori? Ci siamo fermati a Totò Riina, Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro, latitanti a casa propria: mi chiedo se li cercassero".

Costanza racconta: "Una settimana prima della morte, Falcone mi confidò che sarebbe diventato procuratore nazionale antimafia. Evidentemente qualcuno voleva che lui non riaprisse certi fascicoli: ecco perché fu ucciso. Anche il magistrato Paolo Borsellino fu ucciso per lo stesso motivo: eliminato Falcone, il nuovo procuratore sarebbe stato lui". Descrive l’isolamento di Falcone: "I suoi amici si contavano sul palmo della mano, i peggiori nemici erano all’interno. Venne contrastato e infangato: gli si imputò persino di aver organizzato l’attentato fallito ai suoi danni all’Addaura, nel 1989, per fare carriera". Costanza pensa che si debba andare oltre il quadro di responsabilità definito dai tribunali: "Nella strage di Capaci, dov’è la vera mafia? Mi auguro non passino altri 50 anni per scoprire la verità".