
Scoppia in lacrime, subito dopo il verdetto, Grazia Coletta. Lei è l’ex moglie della vittima Aniello Iazzetta, con il quale condivise una travagliata storia familiare. Lui, infatti, fu imputato per abusi sessuali sulla loro figlia, oggi 17enne, e poi assolto in via definitiva. Dopo la condanna a 4 anni per le presunte condotte sulla piccola che all’epoca dei fatti contestati aveva 3 anni e mezzo, Iazzetta fu poi prosciolto in Appello. La bambina fu collocata in un’altra famiglia, ma mantenne i contatti col padre. A seguito della vicenda giudiziaria, Iazzetta lasciò volontariamente la casa perché vi abitasse la figlia. L’abitazione fu poi recuperata tramite vie legali, ma poi lui perse il lavoro e visse altre traversie. La coppia divorziò, ma oggi la commozione è più forte di tutto. E Grazia parla di Aniello come se il loro legame non si fosse mai spezzato: "Abbiamo avuto giustizia, anche se mio marito non tornerà più indietro. E quell’uomo deve pagare", dice riferendosi all’imputato. Poi ripensa a Iazzetta e ai problemi venuti dall’esterno: "I servizi sociali ci impedivano di stare insieme. Io e lui siamo sempre rimasti in contatto. Lui amava molto nostra figlia, con la quale recuperò il rapporto". La voce si incrina: "Sentii Aniello tre giorni prima di morire: stava bene. Andavo nella casa di via Stalingrado, ma lui era solo. Non mi parlò mai dei suoi problemi: magari l’avesse fatto...". Alla loro figlia, che compirà 18 anni in dicembre, i giudici hanno riconosciuto 50mila euro di provvisionale. Accanto a Grazia ci sono gli altri due parenti della vittima costituiti parte civile, presenze costanti tra i banchi del tribunale: la sorella Rosa Iazzetta e il marito Pietro Caso, assistiti dall’avvocato Andrea Davoli. "Finisce il primo atto di una storia triste. È una sentenza corretta: dalle motivazioni capiremo il movente – commenta il legale –. Ma la cosa più importante è che la figlia possa sapere chi le ha tolto il padre". Ai suoi due assistiti vanno 20mila euro di provvisionale. Poi l’avvocato riflette sulla trama e i tanti attori di questa storia, ribadendo i suoi dubbi: "È mancato il coraggio della verità, c’è un’omertà ancora molto pesante".
Esprime "rammarico" l’avvocato Ernesto D’Andrea, difensore di Milan Racz: "Non è stato comminato l’ergastolo, non è stata riconosciuta l’aggravante dei futili motivi e neppure la recidiva. Ma si è creduto alla testimonianza di due persone alle quali sono stati diagnisticati problemi psichiatrici, per i quali ho depositato i documenti del Centro di salute mentale. Il mio assistito è vittima di un grosso equivoco: ricorreremo in Appello e faremo valere i nostri diritti". In aula è arrivata al momento della sentenza anche l’attuale compagna di Racz, una donna italiana: in aprile, quand’era stato sentito in aula, l’imputato aveva espresso la volontà di sposarsi con lei e aveva chiesto di andare al Consolato slovacco per recuperare i documenti.
al. cod.