"L’Emilia resta il mio posto del cuore"

La vita e la carriera lo hanno portato altrove, ma Vinicio Capossela ha sempre mantenuto la residenza a Scandiano

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di Stefano Marchetti

La residenza a Scandiano non l’ha mai cambiata, anche se magari la vita e la carriera lo hanno portato altrove. "La mia famiglia ha ancora casa qui, è un luogo dove sono cresciuto e continua a essere un luogo che mi piace", confida Vinicio Capossela, fra i cantautori più amati.

Le sue radici sono in Irpinia e la sua biografia ci dice che è venuto al mondo ad Hannover, in Germania, eppure Vinicio ha trascorso gran parte della sua gioventù proprio in Emilia, a Scandiano come a Modena. E l’immaginario dei suoi primi dischi nasce dalla terra emiliana, la ‘piana ipermercata’ di cui ha scritto anche nei suoi libri.

Ecco perché il concerto che Capossela terrà stasera alle 21 al teatro Comunale Pavarotti Freni di Modena, per il festival "L’Altro suono", assume un significato speciale. "Round one thirty five", si intitola la serata: è la traduzione di "All’una e trentacinque circa", l’album del 1990 che gli valse la Targa Tenco e diede il via alla sua carriera.

Vinicio Capossela ripercorrerà, come ‘personal standards’, i brani (quasi biografici) dei suoi album d’esordio, con le atmosfere fra Tom Waits e Paolo Conte, pioggia e moquette, nottambuli e avventurieri. Sul palco con lui ci saranno suoi ‘storici’ amici e collaboratori con il jazz nel Dna, il contrabbassista Enrico Lazzarini, il sassofonista Antonio Marangolo che arrangiò quei pezzi, il chitarrista Giancarlo Bianchetti e il batterista Zeno De Rossi.

Capossela, in quelle canzoni si possono riconoscere tanti luoghi delle nostre parti...

"Come il circolo Florida di Modena, dove si suonava musica latinamericana. Manco Inca, il musicista che ci accoglieva all’ingresso del Florida, è ‘il peruviano dondolante’ di ‘Che coss’è l’amor’. E quando in ‘Ultimo amore’ canto ‘Tequila, Mariachi e Sangria, la fiesta invitava a bere e a bailar...’ penso proprio alle serate al circolo vicino alla stazione piccola. Anche quella era un posto speciale".

Perché?

"Aveva un vantaggio. Di notte non passavano treni perciò, quando avevamo bevuto qualche birra, facevamo un gioco: vinceva chi riusciva a camminare più a lungo in equilibrio sui binari al buio".

Tutto per lei è iniziato qui. Con una cassetta che Francesco Guccini consegnò a Renzo Fantini, produttore anche di Paolo Conte...

"Sono stato molto fortunato a incontrare persone che, in un mondo rapinoso come quello della musica, hanno dato a un giovane la possibilità di crescere con un percorso naturale. Oggi magari tutto viene determinato da eventi straordinari come la partecipazione a un talent: sei molto in vista per un mese, poi vieni sostituito da altri".

Quella di trent’anni fa era l’Emilia di Ghirri e Tondelli...

"... e dei Cccp a Reggio, tutti giganti. Tondelli è stato essenziale per scrivere i miei primi pezzi: nei suoi romanzi, riusciva a dare un tono epico anche a luoghi e personaggi che aveva intorno. Io sono cresciuto in quell’Emilia dove era ancora vivo uno spirito comunitario e cooperativo che veniva dalla Resistenza e dal dopoguerra".

Ed è cambiata?

"Come regione di passaggio, una frontiera a Ovest come a Est, l’Emilia ha certamente ben assorbito i modelli sia della produzione che del consumo, anche se rimane sempre un luogo di enorme fermento e soprattutto di senso civico e capacità di intendere il bene comune. Sono sempre colpito, per esempio, dal recupero di un certo tipo di agricoltura, oppure dalla consapevolezza sui temi ambientali. Quando ero piccolo, il Tresinaro a Scandiano era quasi una discarica, oggi ci si va a correre, ci sono sentieri mappati. Ecco, questa Emilia resta il mio posto del cuore".