Mafia nigeriana, il capo del sodalizio a processo Pestò e accoltellò un 29enne in un bar della città

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Lui, Solomon Obaseki, nigeriano 36enne un tempo residente in città, è accusato in un processo in corso a L’Aquila di essere il capo di un sodalizio di mafia nigeriana, nello specifico della ‘Black Axe’, confraternita che ha per simbolo due asce incrociate (nella foto un summit intercettato dalle forze dell’ordine). A Reggio si è aperto per lui un altro dibattimento, collegato a quello abruzzese, in cui deve rispondere di un violento pestaggio: il 26 marzo 2017 avrebbe colpito un connazionale con calci e pugni all’interno di un bar in città e poi lo avrebbe inseguito e accoltellato al braccio destro. All’aggredito, allora 29enne, residente a Parma, era stata formulata una prognosi di una settimana. Davanti al giudice Michela Caputo, Obaseki deve rispondere di lesioni aggravate: in passato aveva reso interrogatorio, fornendo spiegazioni sull’accaduto. La parte offesa, che aveva sporto querela, è stata ricercata, ma al momento non risulta reperibile. L’episodio reggiano è emerso anche nel procedimento all’Aquila, perché ritenuto emblematico dell’atteggiamento di Obaseki. La difesa, affidata in entrambi i processi all’avvocato Pina Di Credico, intende smontare l’accusa e sostiene che quanto sostenuto dal 29enne non corrisponda al vero.

Ora Obaseki si trova in custodia cautelare nel carcere di Siracusa. In una recente udienza del dibattimento abruzzese è stato ascoltato un nigeriano, Johnbull Austine, diventato collaboratore di giustizia. Tra i reati formulati L’Aquila, figurano il traffico di droga, lo sfruttamento della prostituzione, truffe informatiche e riciclaggio. Obaseki si divideva tra Reggio e l’Abruzzo, dove avrebbe impartito ordini a tutto il gruppo tramite il suo computer. Avrebbe fatto il corriere della droga e imposto che i riti di affiliazione avvenissero in Nigeria. Risulta che lui abbia una vasta cultura economica, tanto che gli si contestano anche truffe con acquisto di bitcoin con cui venivano poi trovati nel darkweb i numeri delle carte di credito clonate, poi usate per comprare beni sui siti di e-commerce.

Alessandra Codeluppi