
di Alessandra Codeluppi
Una confessione last minute, arrivata agli sgoccioli del processo ‘Aemilia’ in Appello. Gianluigi Sarcone ha ammesso di essere stato per undici anni un membro della cosca di ‘ndrangheta: per l’esattezza, ha riconosciuto gli addebiti mossi dalla Dda di Bologna fino al gennaio 2015, quando fu arrestato nell’ambito della maxi operazione con l’accusa di essere un partecipe.
Ha invece rigettato di aver operato nel sodalizio come organizzatore dopo la sua carcerazione, nei tre anni successivi, fino al 2018.
La Corte d’Appello di Bologna lo ha riconosciuto ieri colpevole per entrambi i capi di imputazione formulati a suo carico, condannandolo a 14 anni e mezzo: un verdetto senza la concessione delle attenuanti generiche e frutto della messa in continuazione delle due sentenze di primo grado emesse nei suoi confronti.
All’esito del processo reggiano concluso il 31 ottobre 2018, Sarcone era stato ritenuto colpevole in un duplice filone processuale: 16 anni e 4 mesi nel rito abbreviato per associazione mafiosa (416 bis), oltre a 3 anni e mezzo in ordinario per tentata violenza privata, aggravata dal metodo mafioso, nei confronti del direttore del TgReggio Gabriele Franzini.
Nel processo a Bologna, il sostituto procuratore generale Lucia Musti ha chiesto 18 anni di pena, partendo dalla pena base di 16 anni e 4 mesi più 1 anno e 8 mesi per la continuazione con l’accusa riguardante il giornalista. Una settimana fa, il 18 gennaio, Sarcone, detenuto in carcere a Viterbo, ha fatto pervenire alla Corte d’Appello una lettera, letta ieri nell’aula Bachelet dal presidente del collegio Ghidini.
La sua posizione era stata stralciata il 17 dicembre (giorno del verdetto di secondo grado per altri 118 imputati), in seguito al pronunciamento della Cassazione che aveva accolto la richiesta delle difese di avere un collegio diverso per incompatibilità di uno dei suoi membri. Ed è stato il presidente della Corte Luca Ghidini, affiancato dai giudici Enrico Saracini e Carlotta Franceschetti, a scandire ieri nell’aula Bachelet le parole vergate da Sarcone.
"Mi dichiaro colpevole per la prima parte, ossia l’accusa originaria di partecipe del’associazione mafiosa, dal 2004 al 2015. Nel presente - ha scritto l’imputato - comincio a prendere le distanze dall’associazione e me ne dissocio anche pubblicamente. Ma non sono colpevole per i reati dal 2015 al 2018".
Nel giugno 2015 l’articolo 416 bis del codice penale è stato rivisto con l’introduzione di condanne più severe: la confessione di Sarcone appare ‘coprire’ solo l’arco di tempo in cui le pene erano più leggere, ma non i tre anni successivi contestati quando lui era già in carcere. Per lui la difesa, rappresentata dagli avvocati Stefano Vezzadini e Valerio Vianello Accorretti aveva chiesto l’assoluzione "per non aver commesso il fatto" per entrambi i periodi, entro il 2015 e anche dopo, e domandato che non venisse riconosciuta l’aggravante mafiosa per il 2015-2018, che è stata invece ritenuta sussistente dai giudici. Lo stesso Sarcone, videocollegato, ieri ha fatto dichiarazioni spontanee. Dopo un’ora di camera di consiglio, la Corte ha emesso il verdetto.
"Sarcone non si ritiene colpevole per i fatti in carcere, perché dice che con gli altri si limitava a parlare e a mettere a punto strategie difensive", afferma Accorretti, chd insieme a Vezzadini valuterà il ricorso in Cassazione. Tesi opposta della Procura, che lo ritiene autore di una strategia di versioni dei fatti da riferire in tribunale, memoriali per altri imputati e minacce perché si fornissero in aula ricostruzioni di comodo.