“Maneggio Brescia“, non fu abuso

La sentenza del Consiglio di Stato ribalta quanto stabilito dal Tar di Parma che dichiarò inammissibile il ricorso

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Era un bene simbolo del radicamento della ‘ndrangheta a Reggio Emilia che il Comune, dopo una battaglia legale durata 10 anni, è riuscito ad ottenere mettendolo poi all’asta. Ora però una sentenza del Consiglio di Stato che in parte dà torto all’amministrazione potrebbe rimescolare le carte in tavola. La vicenda è quella del maneggio “New West Ranch” realizzato a Cella dalla società Brecongen dei fratelli Pasquale, Luigi e Francesco Brescia, il primo dei quali condannato a 13 anni per associazione mafiosa nel processo Aemilia e a 6 mesi per una lettera di minacce mafiose al sindaco Vecchi. L’immobile era in origine utilizzato come deposito di materiale edile e dal 2012 trasformato appunto in maneggio con, tra l’altro, 10 strutture prefabbricate (sei in legno e quattro in ferro) e due piste per l’allenamento dei cavalli. I manufatti, ritenuti abusivi dal Comune fin dal 1998, sono stati alla fine demoliti a luglio del 2019 e il terreno su cui erano collocati acquisito al patrimonio dell’ente. Mercoledì scorso però, uno dei vari ricorsi presentati dai fratelli Brescia contro l’azione del Comune, che il Tar di Parma aveva dichiarato inammissibile nel 2016, è stato invece accolto dalla sesta sezione del Consiglio di Stato che ha così ribaltato la sentenza di primo grado. L’atto impugnato dai Brescia è nello specifico un’ordinanza del Comune del luglio del 2012 in cui veniva contestato l’illecito di “lottizzazione abusiva” e se ne imponeva la cessazione, prevedendo inoltre dopo tre mesi “l’acquisizione al patrimonio comunale nonché la demolizione a cura del Comune medesimo” delle opere non autorizzate. Secondo il Consiglio di Stato, tuttavia, l’azione amministrativa è stata viziata da “un evidente difetto di istruttoria e di motivazione”. In primo luogo i giudici evidenziano infatti che “la cronologia delle attività dall’amministrazione, titolare di un potere di vigilanza generale sull’assetto del territorio, dimostra una discontinuità nel suo esercizio”. Alcune contestazioni tra il 1998 e il 200, poi ancora nel 2003, poi, infine, al gennaio 2012 “che ha portato a rilevare la situazione caratterizzata da una differente utilizzazione del terreno (realizzazione box cavalli e piste per cavalli)” e qualificata dal Comune come “lottizzazione abusiva”. Poi poi chiudere il cerchio con la demolizione nel 2019 “quindi oltre venti anni dalla prima contestazione dell’abuso, agosto 1998, ponendo nel nulla quella tempestività della sanzione che la legge delinea con una precisa scansione temporale”