Manzini, la pm in prima linea: "Le condanne di Aemilia non hanno sanato il territorio"

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CASTELLARANO

"Non è stato sufficiente arrivare alle condanne dei membri della famiglia Mancuso di Vibo Valentia per dire che la ‘ndrangheta era stata estirpata. Allo stesso modo il fatto che a Reggio sia stato celebrato il processo ‘Aemilia’, concluso con numerose condanne, non significa che l’Emilia-Romagna sia stata sanata". Lo ha detto Marisa Manzini, magistrato di Novara in servizio da 30 anni in Calabria: oggi è sostituto alla Procura generale di Catanzaro, dov’è stata anche pm della Dda. Giovedì sera Manzini ha presentato il suo libro ‘Donne custodi, donne combattenti. La signoria della ‘ndrangheta su territori e persone’ al centro civico ‘Casa Maffei’ a Roteglia. L’evento era programmato nell’ambito del festival ‘Noi contro le mafie’, organizzato dalla Provincia con la direzione del prof Antonio Nicaso in collaborazione con Rosa Frammartino. Dopo il saluto dell’assessore alla Cultura Cassandra Bartolini, il magistrato ha dialogato con Alessandra Codeluppi, giornalista del Resto del Carlino, soffermandosi sulle storie delle donne. Da quelle accusate di operare per la cosca, come la madre e la figlia del boss di Cutro Nicolino Grande Aracri, condannate per mafia in primo grado: si erano sostituite a lui nel periodo di carcerazione per guidare la cosca. Fino a quelle che hanno provato a combattere contro la mafia, a volte venendo fatte sparire o morire. Il pm ha raccontato di quando durante un processo il boss mafioso Pantaleone Mancuso la minacciò: "Zitta ca parrasti assai" (Zitta che hai parlato abbastanza’). E le disse che dovevano invece parlare di sua moglie, Santa Buttafusca, che aveva deciso di collaborare con la giustizia. La frase in dialetto calabrese detta da Mancuso è diventato il titolo di un altro libro scritto dal pm. Un giorno Buttafusca, col figlioletto in spalla, bussò ai carabinieri perché voleva cambiare vita. Ma poi ci ripensò e tornò a casa. Morì nel 2011 dopo aver ingerito acido muriatico. "Un giorno Mancuso si presentò dicendoci che l’avevano trovata agonizzante. Si parla di suicidio, ma il sospetto che sia stata uccisa - dice il pm - è forte. Quella frase non era rivolta solo a me, ma al territorio: nonostante fosse detenuto al 41 bis, voleva ancora comandare e imporre la legge del silenzio".