Maxi condanne per la mafia nigeriana

Pena di 12 anni e sei mesi per il rappresentante operativo e braccio destro del capo della confraternita, che si divideva tra L’Aquila e Reggio

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di Alessandra Codeluppi

Il loro simbolo sono due asce che si incrociano, a cui si richiama anche il saluto in codice fatto con le braccia sovrapposte, per potersi riconoscere. I colori predominanti sono il nero, il giallo e l’oro. La ‘Black axe’ è una delle confraternite, o cult, in cui si è organizzata la mafia nigeriana: ma di religioso non c’è nulla, se non i rituali interni, perché il resto rimanda a una serie di attività criminali finalizzate al profitto.

Nell’aprile 2021 anche la nostra città fu toccata da un’operazione della polizia di Stato - coordinata dalla Dda dell’Aquila - che eseguì 9 misure cautelari a Reggio - sui 55 indagati totali - nei confronti di nigeriani che avrebbero fatto parte della ‘Black Axe’. Tra loro finì in manette Solomon Obaseki, ritenuto capo italiano del cult: arrestato all’Aquila, si divideva tra questa e la nostra città. Tra i reati contestati, oltre al 416 bis figurano il traffico di droga, lo sfruttamento della prostituzione, truffe informatiche e riciclaggio.

All’Aquila per sei di loro si è chiuso il processo di primo grado con rito abbreviato, con altrettante condanne per 416 bis comminate dal giudice Baldovino de Sensi. La pena più pesante, 12 anni e 6 mesi, è stata disposta per Martins Igiehon, 41 anni, che abitava a Reggio e ora nel carcere di Lecce. Era stato arrestato nell’ottobre 2017 con undici chili di marijuana alla Tav. E poi, nel gennaio 2021, anche nell’operazione antidroga ‘Trexit’. Per lui il pm Stefano Gallo aveva chiesto 14 anni: secondo l’accusa ricopriva il ruolo di ‘chairman’, il capo operativo del cult, ed era il braccio destro di Obasweki.

L’avvocato difensore Gisella Mesoraca annuncia "ricorso in Appello": "Non ci sono le prove per contestare l’associazione mafiosa. Non risultano atti intimidatori e neppure il ricorso alla violenza avvenuto in Italia. A parte le truffe, qui non è successo altro".

Pena di 9 anni e 2 mesi, e multa di 20mila euro, anche per un altro nigeriano che abitava a Reggio, Marc Bright Oziegbe, 37 anni. "La pena si giustifica secondo la prospettazione del giudice, che ha ritenuto valide le argomentazioni del pm. Ma non è detto - dice l’avvocato Laura Ferraboschi - che siano vere".

È in corso all’Aquila anche il processo con rito ordinario: tra gli imputati figura Obaseki, 36 anni, che si divideva tra la nostra città e il capoluogo abruzzese, dove avrebbe dato ordini al sodalizio tramite il suo computer. Dalla Libia arrivò nel 2014 a Pozzallo e fu ospite del centro di accoglienza dell’Aquila. Avrebbe imposto al gruppo che i riti di affiliazione avvenissero in Nigeria. E avrebbe fatto il corriere della droga. Ma lui poteva contare su una cultura economica suggellata da una laurea.

Una truffa consisteva nell’acquisto di bitcoin con cui venivano poi trovati nel darkweb i numeri delle carte di credito clonate, poi usate per comprare sui siti e-commerce numerosi beni. La difesa, affidata all’avvocato Pina Di Credico, darà battaglia: "L’accusa si fonda sostanzialmente sulla traduzione delle intercettazioni, che non condividiamo. E anche sulle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia sulle quali manifesto molteplici perplessità: non ha conoscenza diretta degli imputati ed era in carcere molto tempo prima dei fatti contestati".