Mescolini si difende: "Avrei ritirato la domanda"

Le sue parole alla commissione del Csm: "La Procura di Reggio non era la mia predilizione, mi interessava continuare nella Dda"

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di Alessandra Codeluppi

"Avrei ritirato la domanda di andare alla Procura di Reggio...". Lo ha detto il procuratore capo Marco Mescolini, quand’è stato sentito dalla Prima commissione del Csm, rivolgendosi direttamente al consigliere Nino Di Matteo, noto pm antimafia ed estensore della delibera in cui si chiede il trasferimento di Mescolini fuori regione per incompatibilità ambientale. La pratica passerà al vaglio decisivo del plenum del Csm il 24 febbraio. Dietro questa proposta, ci sono le chat pubblicate dal Carlino emerse nell’inchiesta su Luca Palamara. Ma anche l’esplosivo esposto presentato da quattro pm (Isabella Chiesi, Maria Rita Pantani, Valentina Salvi, Giulia Stignani): si segnalano contrasti con Mescolini sulla scelta se indagare il sindaco Luca Vecchi ("Mescolini chiese di non riscrivere i soggetti la cui posizione indiziaria appariva debole") nell’inchiesta sui bandi di gara del Comune, oltre ai tempi delle iniziative giudiziarie "condizionati" da quelli delle elezioni. "Ho chiesto tre posti da aggiunto a Bologna e il posto di procuratore a Reggio, con una chiara predilezione per i primi tre - ha raccontato Mescolini il 22 dicembre al Csm -. Io avrei voluto continuare a fare ciò che stavo facendo (cioè il pm della Dda nel processo ‘Aemilia’, ndr). Fu un’offerta che mi trovò così spiazzato, addirittura con cinque a uno (le prime, preferenze espresse per la sua nomina a Reggio, l’altro voto a favore del magistrato Alfonso D’Avino, nell’ottobre 2017, ndr), e lo venni a sapere in udienza verso mezzogiorno. Alle due ci fu il primo dal 41 bis, anzi il terzo ma il più importante, che fece arrivare la sua volontà di collaborare. Avrei ritirato in quel momento la domanda di andare alla Procura di Reggio. La cosa doveva andare subito in plenum. Per noi come ufficio sarebbe stato un dramma perché non siamo una Dda capace di sostituirsi dall’oggi al domani: eravamo due...". La Prima commissione riassume così la difesa di Mescolini: "La campagna di stampa aveva avuto come oggetto la sua persona e non la Procura di Reggio, perché traeva origine dalla sua attività svolta come pm della Dda di Bologna, in particolare in ‘Aemilia’. La stampa riportava in modo suggestivo che era stato collaboratore, in quanto capo dell’ufficio del viceministro dell’Economia, di un esponente di una certa parte politica, e da quest’incarico faceva derivare il sospetto di un condizionamento nel modo di condurre le indagini. Non voleva essere trasferito subito a Reggio perché aveva le udienze del processo ‘Aemilia’ in corso. Anche per questi motivi aveva chiesto informazioni sulla calendarizzazione della sua pratica al plenum, che mai avevano assunto il connotato di pressioni".

Il procuratore viene risentito il 26 gennaio: "Ha ribadito di essere vittima di un sospetto". Rimarca la Prima commissione: "Il comportamento tenuto dal procuratore rispetto alla campagna giornalistica del 2020 è stata l’occasione per rileggere in chiave critica i suoi interventi. L’aver imposto la posticipazione della perquisizione nell’indagine sui bandi del Comune è stato visto come un tentativo di favorire, o comunque non pregiudicare, la candidatura del sindaco uscente del Pd.

L’aver fatto una conferenza stampa in cui si dava atto del rinvio della misura per non influenzare il ballottaggio, facendola anche apparire come una scelta condivisa, è parsa come una captatio benevolentiae verso una parte politica. Ciò è chiaro di una frattura insanabile dentro l’ufficio".

Lo scrive anche Mescolini nella sua memoria: "Un procuratore che si occupi solo delle pulizie, della manutenzione ascensori, che non metta becco nelle indagini: questo vogliono le pm dichiaranti.... Non c’era spazio per riparlare con le colleghe".