Reggio Emilia, morto nel pozzo: “Fine disumana di Giuseppe Pedrazzini per colpa loro”

I fratelli e i familiari di Giuseppe Pedrazzini dopo l’esito dell’autopsia: "Non l’avranno gettato dentro vivo, ma non l’hanno curato a dovere"

Reggio Emilia: moglie, figlia e genero sono accusati di omicidio, truffa e occultamento di cadavere

Reggio Emilia: moglie, figlia e genero sono accusati di omicidio, truffa e occultamento di cadavere

Toano (Reggio Emilia), 20 marzo 2023 - Ogni volta che emergono nuovi dettagli legati alla tragica vicenda che ha portato all’incomprensibile morte del 77enne Giuseppe Pedrazzini di Cerrè Marabino (Toano), per i familiari dell’anziano scomparso significa rinnovare il dolore per una ferita mai chiusa. "Una fine disumana", dicono; la cui responsabilità, al di là delle ricostruzioni fatte dal punto di vista legale con riferimento a questo o a quel reato, per i parenti stretti del defunto, ricade sulla stessa famiglia della vittima: la figlia Silvia con il marito Riccardo Guida e la moglie Marta Ghilardini. L’anziano fu ritrovato morto in fondo a un pozzo vicino a casa l’11 maggio 2022; il pozzo era chiuso con un pesantissimo disco di pietra.

Da quanto emerso nelle scorse ore l’autopsia parrebbe aver escluso il reato più grave, quello dell’omicidio, in quanto i referti degli esami confermerebbero la morte naturale.

"Personalmente devo dire di non aver mai avuto il coraggio di pensare che mio cognato l’avessero buttato nel pozzo vivo – afferma la cognata Paola –; è un fatto inimmaginabile, da fuori di testa. Nessuno di noi parenti si è costituito come parte civile, ci auguriamo che la giustizia faccia il suo corso e che faccia emergere la verità sull’ultimo periodo di vita di Giuseppe. Siamo stati coinvolti fin dall’inizio delle indagini sulla scomparsa di Giuseppe e proprio per questo abbiamo ritenuto opportuno tutelarci con la nomina di un legale, però noi aspettiamo solo il risultato del processo, sarà ancora lungo, vogliamo sapere come è morto".

I fratelli Pedrazzini e i nipoti – che si sono sempre sostenuti a vicenda con lo spirito fraterno tipico di una famiglia all’antica molto unita, che si è trovata di fronte a una tragedia inaudita – chiedono soltanto di conoscere come sia morto Giuseppe a 77 anni. "Quali malattie? – incalzano –.Non hanno mai chiamato il dottore per farlo curare e anche per questo loro sono responsabili". "Certo, non l’avranno buttato vivo nel pozzo – prosegue la cognata – però era a casa loro, evidentemente non l’hanno curato. Non ci hanno mai fatto sapere nulla; anzi a noi parenti, quando cercavamo di avere notizie, ci dicevano che stava bene e non ci facevano mai parlare al telefono con lui. Era segregato, ci raccontavano un sacco di storie fino alla macabra scoperta del pozzo. Ormai è passato un anno, mio marito e gli altri fratelli non trovano neanche più la forza di parlare del fratello Giuseppe, la fine che ha fatto resta per loro un tormento, qualcosa di disumano e inconcepibile".

La moglie di Pedrazzini, Marta Ghilardini, indagata assieme alla figlia e al genero per omicidio, truffa ai danni dello Stato (avrebbero indebitamente continuato a percepire la pensione) e occultamento di cadavere, ha l’obbligo di firma. Gli altri due indagati, invece – assistiti dall’avvocato Ernesto D’Andrea che ha già annunciato la richiesta di scarcerazione – sono detenuti in carcere. "La mia assistita – spiega il suo legale, Rita Gilioli ( nella foto sopra ) – ha una posizione diversa rispetto a figlia e genero: non aveva bisogno della pensione del marito per sopravvivere, ha la sua pensione e immobili di proprietà. Ha collaborato con la giustizia e nelle sue dichiarazioni aveva già detto che Pedrazzini era morto l’8 marzo di morte naturale e che non gli era stato somministrato nulla per accelerare la morte. L’autopsia gli ha dato pienamente ragione. E così viene confermata la sua collaborazione".