Morto nel pozzo a Reggio Emilia: Giuseppe Pedrazzini non fu ucciso

Moglie, figlia e genero sono accusati di omicidio: due sono ancora in carcere. L'avvocato: “Quadro stravolto, chiederò subito la liberazione”

Reggio Emilia, 18 marzo 2023 – Giuseppe Pedrazzini, 77 anni, è morto per cause naturali, molto probabilmente per un improvviso arresto cardiaco verificatosi in un arco temporale che va dalla metà di febbraio alla metà di marzo del 2022, a seguito di un quadro clinico già ampiamente compromesso e non per mano di qualcun altro.

Insomma, non si tratta di omicidio. E’ quanto ha stabilito l’esame autoptico compiuto sul corpo del 77enne ritrovato senza vita il 12 maggio del 2022 all’interno di un pozzo situato nella proprietà a Cerrè Marabino di Toano dove viveva assieme alla moglie Marta Ghilardini, alla figlia Silvia e al genero Riccardo Guida ed il cui esito è stato depositato presso la Procura della Repubblica di Reggio Emilia alla fine del novembre del 2022 nonché la conseguente relazione del perito incaricato dal Pm titolare del fascicolo, Piera Cristina Giannusa.

Una valutazione che cambia completamente il quadro accusatorio. A seguito del ritrovamento del corpo di Pedrazzini, i tre parenti risultano indagati per le ipotesi di omicidio, occultamento di cadavere, e truffa ai danni dell’Istituto di Previdenza Sociale, perché avrebbero incassato indebitamente la pensione di Pedrazzini. Sull’applicazione delle misure cautelari è sorta una battaglia a colpi di ricorsi tra la Procura e la difesa degli indagati, prima scarcerati dal Gip di Reggio, provvedimento ribaltato successivamente dalla Cassazione che ha stabilito per la signora Ghilardini , l’obbligo di firma presso la polizia giudiziaria, ed il ritorno in carcere (a Mantova, ndr) per figlia e genero.

“Attendo la comunicazione delle motivazioni della Suprema Corte – spiega l’avvocato Ernesto D’Andrea, che assiste di fiducia Silvia Pedrazzini e il marito – e poi farò immediatamente una nuova istanza di scarcerazione al Gip di Reggio. Alla luce di quanto è emerso dall’autopsia, il quadro dell’indagine muta in modo significativo. Pertanto, è evidente che le esigenze cautelari (il pericolo di reiterazione del reato, ndr) che trattengono tuttora in carcere i miei assistiti si sono completamente sgretolate. Devono riacquisire la piena libertà”.