Nicolino Sarcone si ribella "41 Bis esagerato, voglio uscire"

I legali del capo della ’ndrangheta di Reggio: "Non è più in grado di gestire l’organizzazione criminale".

di Alessandra Codeluppi

Nicolino Sarcone vuole uscire dal regime di detenzione del carcere duro a cui è sottoposto a Rebibbia. Il capo della ‘ndrangheta di Reggio, braccio destro del boss Nicolino Grande Aracri, era stato condannato in via definitiva nell’ottobre 2018 a quindici anni di carcere nel processo ‘Aemilia’, al culmine del rito abbreviato in Cassazione. E ha avuto una pena di trent’anni dal tribunale di Bologna, sempre in abbreviato, per gli omicidi di ‘ndrangheta del 1992 a Brescello e a Pieve.

Il maggiore dei quattro fratelli che avevano il quartier generale a Bibbiano, destinatari di una recente confisca di beni da tredici milioni, ha ingaggiato attraverso i suoi avvocati Carmine Curatolo e Sabrina Mannarino una battaglia per uscire dal 41 bis, a cui è sottoposto dal 2015. L’anno scorso, dopo i primi quattro anni, la Dda di Bologna ha chiesto e ottenuto dal ministero della Giustizia che il regime duro fosse rinnovato. Ma il decreto emesso dal Guardasigilli Alfonso Bonafede è stato oggetto di un reclamo presentato dai difensori al tribunale di sorveglianza di Roma. Il rinnovo del ricorso è stato discusso ieri davanti al giudice capitolino: la Procura generale, competente per tutti i 41 bis su cui raccoglie le informative da parte delle magistrature antimafia, si è detta favorevole all prosecuzione, ritenendo che il pentimento palesato da Sarcone nel 2017 sia stato solo una mossa per favorire se stesso i fratelli. E lo ha descritto come killer spietato e cinico nel dirsi ormai estraneo alla ‘ndrangheta.

Secondo gli avvocati Curatolo e Mannarino, non ci sono invece gli estremi perché Sarcone stia ancora al 41 bis: "Il decreto ministeriale viola i presupposti per questo regime detentivo - scrivono nel ricorso -. Non sono infatti evidenziati elementi che prospettano un quadro oggettivo di permanente pericolosità e attualità del ruolo primario da lui assunto e che testimonino che lui sia in grado di mantenere i contatti con l’organizzazione criminale nel territorio". I legali sostengono che, a seguito di ‘Aemilia’ chr ha colpito i principali esponenti del clan, Sarcone non riuscirebbe più a tenere i contatti con loro. E rimarcano la bontà della sua offerta di collaborazione di giustizia: "Oltre alla partecipazione all’associazione criminale, aveva confessato tre omicidi (per quello di Antonio Villirillo era già stato assolto), confermando così le ipotesi accusatorie. Seppur non accolto come pentito, la sua scelta rappresenta un’azione incompatibile con la volontà di ricoprire un ruolo nel sodalizio. Chi viola i precetti di omertà e fedeltà al clan, non può più farne parte. Sarcone si è dissociato dal gruppo mafioso, ma questo dato è stato valutato in modo erroneo nel decreto ministeriale. La sua pericolosità è infatti venuta meno a causa dell’implicita dissociazione, indice tangibile della rivisitazione del suo percorso". All’esito dell’udienza, il giudice si è riservato la decisione.